Home 2015 16 febbraio RICERCA. RICERCATORI RICERCATORI. EFFETTI DELLA LEGGE 240/2010
RICERCATORI. EFFETTI DELLA LEGGE 240/2010 PDF Stampa E-mail

Con la legge Gelmini (240/2010) la figura del ricercatore universitario è stata definitivamente soppressa e sostituita con due surrogati: il ricercatore a tempo determinato di tipo A (cosiddetto RTD-A) con contratto triennale rinnovabile una sola volta per ulteriori due anni; il ricercatore a tempo determinato di tipo B (cosiddetto RTD-B) con contratto triennale non rinnovabile, con opzione di chiamata a professore associato in caso di conseguimento dell’ASN e di valutazione positiva dell’Ateneo chiamante. Tutto ciò ha provocato una serie di effetti che, quantomeno, avrebbero dovuto essere previsti. Ne cito solo alcuni.
a) Ovviamente per entrambe le figure è stato inserito il tassativo obbligo di fare didattica. La progressiva precarizzazione della docenza universitaria con i continui salti mortali dei presidenti dei corsi di studio per adeguare ordinamenti e regolamenti alla costante variabilità del corpo docente;
b) l’abolizione di fatto della figura del ricercatore a tempo determinato per esclusiva attività di ricerca, esistente praticamente in tutti gli altri Paesi – introdotta da noi dalla legge Moratti e poi abolita dalla Gelmini – che ha generato l’assurdo paradosso che se un docente ha un progetto per reclutare ricercatori a tempo determinato per fare ricerca non può più farlo, perché il tempo che deve essere obbligatoriamente dedicato alla didattica non è giustamente riconosciuto dal finanziatore;
c) l’obbligo dell’inserimento nella programmazione degli Atenei anche dei ricercatori di tipo A, che, di fatto, è una richiesta di programmare l’improgrammabile, ovvero l’istituzione di posti a tempo determinato che dovrebbero essere legati a contingenti e poco prevedibili esigenze di ricerca e di formazione;
d) un ulteriore squilibrio nell’ambito delle limitazioni del turn over, in quanto i professori e i ricercatori che cessano le attività vengono sostituiti, al 20% o al 50% a seconda delle restrizioni del momento, con effimeri contrattisti a tempo determinato;
e) lo strano fatto che i ricercatori a tempo determinato, con contratto precario e stipendio spesso minore rispetto ai loro colleghi a tempo indeterminato, devono lavorare di più perché hanno l’obbligo della didattica che gli altri non hanno. (Fonte: N. Casagli, Roars 03-02-2015)