Home 2015 16 febbraio IN EVIDENZA EU. LA DIVARICAZIONE NELLA POLITICA DELLA CONOSCENZA
EU. LA DIVARICAZIONE NELLA POLITICA DELLA CONOSCENZA PDF Stampa E-mail

L’Europa della conoscenza è sempre più frammentata. E i suoi 28 diversi frammenti invece che a convergere tendono a divergere. Vediamo i numeri, che parlano da soli.

1. Intanto quelli forniti dallo European University Association’s Public Funding Laboratory, che riguardano gli investimenti nella formazione universitaria e post-universitaria negli anni della crisi, dal 2008 al 2014.



I colori della torta (Fonte: European University Association’s Public Funding Laboratory) ci offrono una chiara visione della divaricazione. Da un lato c’è un set di paesi che ha affrontato la crisi tagliando anche i fondi all’università. Tagli profondissimi, superiori al 40%, in Grecia e Ungheria. Tagli profondi, il 20%, in Italia (il 30% nel Sud d’Italia). Tagli tra il 10 e il 20% in Spagna, nella Repubblica Ceca, in Slovacchia. Dall’altro paesi che, al contrario, hanno affrontato la crisi investendo di più in conoscenza. La spesa nell’università è aumentata tra il 10 e il 20% in Austria e in Belgio; addirittura tra il 20 e il 40% in Germania, Norvegia e Svezia. In pratica, chi nel 2008 puntava già molto sulla ricerca e sull’università – i paesi dell’area germanica e scandinava – hanno pensato di affrontare la crisi accelerando. Risultato: un vistoso aumento della divaricazione. E un flusso monodirezionale di giovani studenti e ricercatori che dal sud e dall’est si dirigono verso il nord d’Europa. In apparente controtendenza è il Regno Unito. Lì è diminuita la spesa pubblica. Ma si sa che Londra punta sempre di più sulla presenza dei privati nel mondo dell’alta formazione. Per cui, nonostante i tagli dello Stato, le sue università (almeno le principali) continuano a essere un grande attrattore di studenti, docenti e ricercatori. Ma anche di risorse economiche.

2. E, infatti, il secondo motore della divergenza europea è la politica dell’Unione. Come ci ricorda Colin Macilwain su Nature FP7, il settimo programma quadro che si è concluso nel 2013, ha distribuito molte risorse ai forti e ricchi – 1,1 miliardi di euro a Germania e Regno Unito; 560 milioni all’Olanda – e poche risorse ai deboli e poveri: 560 milioni di euro all’Italia (che ha quattro volte il numero degli abitanti dell’Olanda); appena 67 milioni alla Polonia; la miseria di 17 milioni alla Romania. In pratica, per quanto riguarda la ricerca, i paesi già forti e ricchi incassano più risorse dall’Unione Europea di quanto non ne conferiscano. E viceversa per i deboli e poveri.
Non c’è da fare del vittimismo. Le colpe dei governi dei paesi del sud e dell’est d’Europa sono la causa di gran lunga principale di questa strana asimmetria. Tuttavia l’Unione fallisce in quello che dovrebbe essere il suo compito: aumentare il tasso di coesione tra i paesi membri. Non riesce a opporsi alla “naturale” deriva dei frammenti. Non riesce a creare quell’area realmente comune della conoscenza che aveva immaginato Antonio Ruberti. (Fonte: P. Greco, scienzainrete.it 28-01-2015)