Home 2014 12 gennaio VARIE IL GRANDE ERRORE: TROPPO STATO E TROPPA BUROCRAZIA NEGLI ATENEI
IL GRANDE ERRORE: TROPPO STATO E TROPPA BUROCRAZIA NEGLI ATENEI PDF Stampa E-mail

Il Grande Errore – che ha certificato il suo universale fallimento nella Grande Crisi in cui ci dibattiamo – ha la sua radice nell’idea di assoggettare l’intero sistema formativo alle stringenti necessità competitive delle imprese, l’Università ridotta ad azienda, secondo la perfetta esemplificazione popolare. Tale pretesa, imposta a suon di leggi, senza alcun confronto e dibattito con la comunità dei docenti e degli studenti, ha cambiato radicalmente la vita delle nostre Università. Essa ha dissolto ogni preoccupazione del legislatore per la qualità dell’insegnamento e della ricerca, per il contenuto delle discipline, il modo di insegnarle (non solo nell’Università, anche nella scuola), e ha trasferito tutta l’attenzione riformatrice, con una furia normativa senza precedenti, sul versante della “produttività”, dei risultati e del loro asfissiante controllo. Non più il che e il come, ma il quanto. Quanti “prodotti” (è questo il termine che si usa ormai per nominare libri e saggi) sono stati pubblicati dai docenti, quanti laureati producono le varie Facoltà, in quanto tempo, per quale mercato del lavoro? A questa idea ubbidiscono ormai da anni gli sforzi quotidiani di docenti, amministratori, studenti impegnati nel compito di rendere misurabili e giudicabili le loro prestazioni. In Italia, in maniera particolare, la pressione del Ministero e dei rettori ha un carattere manifestamente punitivo. Sicché, paradosso già evidente in vari ambiti sociali, la cultura neoliberista, che critica l’intromissione dello stato e il peso delle burocrazie, opera in direzione esattamente contraria. Non c’era mai stato, nelle nostre Università, tanto stato e tanta burocrazia quanto oggi. L’università diventa il luogo in cui si fa insegnamento (sempre meno alimentato dalla ricerca) e amministrazione. Affannosa amministrazione di norme sempre nuove. La pretesa del legislatore di controllare l’economicità di ciò che si studia e di ciò che si insegna non solo ruba tempo ed energia agli studi e alla ricerca ma tende a impedire per l’avvenire progetti di grande respiro, che richiedono lavoro di lunga lena da parte dei giovani studiosi. Perché non dovremmo essere noi italiani a far uscire dal sonno dogmatico gli atenei d’Europa? Dopo tutto, l’Università è nata da noi. Avremmo qualche ragione storica e autorevolezza per avviare la liberazione dell’università europea dall’abiezione e dalla stupidità dell’economicismo.
(Fonte: una lettera al ministro Carrozza di P. Bevilacqua, Roars 05-12-2013)