Gli Its, Istituti tecnici superiori, offrono una qualifica terziaria (cioè successiva al diploma di scuola secondaria superiore), ma di tipo non universitario. In Italia ce ne sono 62 in tutto (più 2 in fase di startup) e sostanzialmente offrono ciò per cui era stata originariamente pensata la laurea triennale: una formazione legata al mondo del lavoro. Di fatto nelle università questo non accade: la maggioranza degli iscritti continua per i due anni successivi al triennio e chi non si sente tagliato per una formazione generalista rimane a piedi, prigioniero di un pregiudizio che, fin dalla scuola dell'obbligo, vede nella formazione teorica e liceale un percorso di serie A e in tutto ciò che è professionalizzante un addestramento di meno valore, destinato a "quelli che non ce la fanno". L'Italia rimane un paese di piccola e media impresa, ma i dati europei dicono che i giovani studenti italiani hanno meno sogni imprenditoriali dei loro coetanei del Nord Europa. E questo per un Paese come il nostro è un dato impressionante. Oggi in Italia, secondo dati Isfol, quasi il 60 per cento dei giovani tra i 18 e i 24 anni che ha frequentato un percorso di Istruzione e Formazione Professionale ha un impiego a tre anni dalla qualifica e immediatamente dopo aver terminato il percorso lavora il 50 per cento degli allievi. I primi risultati dei già citati Its non sono meno incoraggianti. Le statistiche del MIUR riferite ai primi 825 diplomati (250 ragazzi raggiungeranno il titolo entro fine anno), evidenziano che gli occupati sono 470, il 57 per cento del totale. Con casi eccellenti come l'Its Accademia marina mercantile di Genova, dove tutti i 65 diplomati hanno trovato un lavoro. Sfiora il 100 per cento pure l'Its della meccanica di Vicenza (21 dei 22 diplomati sono occupati). Numeri che fanno riflettere dal momento che in Italia meno di due ragazzi su dieci lavorano: il tasso di occupazione tra i giovani nella fascia 15-24 anni è sceso al 16,1 per cento. «La Germania è l'unico Stato occidentale che durante la crisi ha visto crescere l'occupazione giovanile. Come si può pensare che l'impianto scolastico formativo non c'entri nulla con questi risultati? Possibile che quei ragazzi che in Italia subito dopo la qualifica di formazione professionale trovano lavoro siano tutti particolarmente fortunati?», si domanda Emanuele Massagli, dottore di ricerca in Diritto delle relazioni di lavoro e presidente di Adapt, il centro studi sul lavoro fondato da Marco Biagi. Gli Its offrono un modello interessante, pur essendo una formula giovane e ancora di nicchia (ai corsi, che hanno un accesso limitato con un massimo di 25 allievi, hanno partecipato poco meno di tremila studenti). Il primo punto di forza è innanzitutto lo strettissimo legame con il territorio. La stessa formazione professionale, con la legge 53 del ministro Moratti che di fatto parificava i percorsi di Ifp ai licei e ai tecnici per l'assolvimento del diritto-dovere di istruzione, veniva affidata a livello organizzativo alle singole Regioni, così da garantire un legame più stretto con le caratteristiche economiche e produttive del territorio. Dietro a ogni Its c'è, infatti, una Fondazione, partecipata da scuole, imprese e associazioni, università e centri di ricerca, strutture accreditate per l'alta formazione. I corsi prevedono stage per almeno il 30 per cento dell'orario e almeno la metà dei docenti provengono dalle aziende stesse. I corsi durano generalmente due anni. «A differenza di quanto succede in Francia, Germania, Olanda, Danimarca - riprende Massagli - in Italia non è mai esistita una formazione terziaria, cioè successiva alle superiori, di tipo non universitario. Chi va all'università di fatto non incontra quasi mai il mondo del lavoro, quindi una volta inserito deve imparare il mestiere. Lo scopo dell'Its invece è di fornire un titolo di livello universitario riconosciuto internazionalmente, ma già professionalizzante. Con l'Its dunque un'azienda può contare su dei lavoratori preparati e già produttivi non a 26 anni, ma a 23 o 24 al massimo». (Fonte: Tempi 04-12-2013)
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