Home 2012 12 Giugno ANGLOFILIA CON MISURA
ANGLOFILIA CON MISURA PDF Stampa E-mail

Si è detto e scritto mille volte che in Italia si conoscono poco le lingue straniere, che spesso e volentieri usiamo l'inglese male e a sproposito (come nel mostruoso neologismo ticketeria, utilizzato dalla Galleria Borghese di Roma per designare la biglietteria), che troppo pochi sono gli studenti stranieri che frequentano i nostri atenei e così via. Ma dietro il provincialismo anglofilo che vorrebbe reagire a tutto ciò trasformando le nostre università in curiosi ibridi, impensabili in altri Paesi di antica tradizione e cultura, fa capolino una confusione fondamentale. Si tratta della confusione tra l'inglese come indispensabile veicolo di comunicazione (e dunque anche come lingua di insegnamento quando lo si valuti opportuno) e la tendenziale eliminazione dell'italiano come lingua dell'istruzione superiore e della ricerca.
Certo che bisogna utilizzare (e, per la verità, bisognerebbe fare in modo che avvenisse dalle elementari in su) sempre più anche l'inglese. Ma questo potrà ragionevolmente avvenire soprattutto negli ambiti di insegnamento a più evidente contenuto tecnico, che del resto da tempo impiegano l'inglese come strumento di comunicazione. Chi invece sogna un futuro prossimo in cui l'università italiana parlerà in inglese dimentica - come ha osservato il linguista Luca Serianni - la connessione che esiste tra la propria lingua madre e la struttura logico-argomentativa che presiede alla costruzione di ogni discorso o ragionamento. Dimentica dunque come la scelta di un modello di università italiana in cui si parlasse unicamente o prevalentemente in inglese avrebbe quale conseguenza di renderci tutti più apparentemente moderni e up to date, ma anche - ahinoi - meno culturalmente originali e (forse) meno intellettualmente capaci.
(Fonte: G. Belardelli, Corsera 01-05-2012)