Home 2012 20 Febbraio BOLOGNA COME LA VEDE L’INVIATO DEL CORSERA
BOLOGNA COME LA VEDE L’INVIATO DEL CORSERA PDF Stampa E-mail

L'Università con i suoi 83mila iscritti regge, impoverita però dai tagli e dal meccanismo di cooptazione, che non produce più scuole come quella di economia: Caffè, Andreatta, Sylos Labini, Prodi, Quadrio Curzio. Soprattutto, Bologna ha divorziato dai suoi studenti. Si vide nei giorni dell'assassinio di Marco Biagi, quando i neolaureati non interruppero il rito delle corone d'alloro e del pranzo con i parenti. Si è visto lunedì scorso, quando i centri sociali hanno contestato la laurea a Napolitano.
Erano gli arrabbiati che occupano l'aula C di Scienze politiche, gli anarchici di Fuori Luogo, i duri del Crash, i dialoganti del teatro Tpo, e gli studenti di Bartleby, che vivono in una vecchia stazione della Croce Rossa ribattezzata come lo scrivano di Melville, quello che diceva «preferirei di no», dove custodiscono la collezione di riviste letterarie del poeta Roberto Roversi. Bartleby è in una via di fruttivendoli pachistani. Inutile chiedere indicazioni a loro: sono a Bologna soltanto a vendere frutta. Dalle vie dei pachistani di solito clochard e punkabbestia girano al largo, perché «quelli menano». I ragazzi di Bartleby raccontano ciò che si legge sugli annunci immobiliari: non si trova una stanza a meno di 400 euro, una camera a meno di 500, un monolocale a meno di 600; mangiare in mensa costa 7 euro, come a Montecitorio; e la città li guarda di malocchio, ricambiata. Da campus urbano i portici di via Zamboni e di piazza Verdi diventano luogo di spaccio, scippo, o anche solo insulti e sguardi aggrottati. Pure i musicisti di strada che tradizionalmente suonano sotto casa di Lucio Dalla, da quando lui reclutò un gruppo per un concerto, non assomigliano ai barboni romantici di «Piazza Grande». Piuttosto, a quelli disperati di «Com'è profondo il mare»: «Siamo i gatti neri, siamo pessimisti, siamo i cattivi pensieri/ e non abbiamo da mangiare». Bologna non era solo la capitale dell'altra Italia, comunista. Rappresentava anche il sogno di una città laboriosa come Milano e calorosa come Napoli. Il crocevia d'Italia: l'Appennino che comincia subito fuori porta Saragozza, il Mediterraneo in fondo alla via Emilia. Il degrado dei rapporti umani si tocca con mano, come altrove.
Questo non significa che Bologna sia diventata una città qualsiasi. Anche nei giorni della grande gelata, i bolognesi li trovavi per strada, anche un po' più sorridenti del solito, qualcuno con gli sci di fondo, altri a tirarsi palle di neve sugli scalini di San Petronio. Un professore o ricercatore universitario ogni cento abitanti, i grandi collezionisti d'arte come gli Enriquez e i Golinelli, 250 comitati pro o contro qualcosa. E, dopo i restauri di conventi, affreschi, palazzi, Bologna assomiglia sempre più alla definizione che ne diede Pasolini, «la città più bella d'Italia», quella che ha conservato meglio l'impianto medievale, e un poco l'antica arte di vivere, che contempla anche la pietà e la speranza.
(Fonte: A. Cazzullo, Corsera 06-02-2012)