Home 2011 27 Dicembre AL CONCORSO NELLO STESSO ATENEO È AMMESSO IL CONIUGE MA NON IL FIGLIO
AL CONCORSO NELLO STESSO ATENEO È AMMESSO IL CONIUGE MA NON IL FIGLIO PDF Stampa E-mail
Alberto Sordi alla domanda "perché non ti sposi?" avrebbe risposto tra il serio e il faceto: «E ché, me metto un'estranea in casa!?». Qualche anno più tardi una legge nostrana ha sancito tale principio di estraneità tra marito e moglie. La recente "riforma universitaria Gelmini", dettando norme sui concorsi, stabilisce che non ci si possa presentare a essi se in rapporto di parentela fino al quarto grado con il Rettore o comunque con un qualunque esponente di primo piano dell'Università che ha bandito il concorso. Come dire che adesso la moralità si fa per legge!
Pochi hanno però notato che la norma esclude quanti sono uniti da "contratto" coniugale, ovvero rispettivamente i mariti delle mogli e le mogli dei mariti. In altri termini, un figlio del Rettore non può presentarsi al concorso, mentre la moglie sì. Oltre la puntualità giuridica della norma, la sostanza appare ridondante o ridicola. È ridondante nella misura in cui la pretesa di imporre la moralità attraverso le barriere legali si infrange su uno dei "mose" più comuni della parentopoli accademica: proprio il rapporto di coniugio, che, insieme a quello padre/figli, ha riempito le cronache nel corso degli anni, schiumando veleni e fango su tutta l'università italiana e facendo di ogni erba un fascio. È ridicolo perché nella sua palese contraddittorietà etica e giuridica, banalizza una vicenda vera, mostrandone la gravità, ma insieme l'inutilità del metodo scelto per risolverlo. Una nota di colore burocratico: in nome dell'autonomia universitaria qualche Università, nel suo Regolamento d'Ateneo, ha interdetto il rapporto di coniugio al pari di quello di parentela. Elementare tentativo di porre, costituzionalmente, sullo stesso piano tutti i protagonisti del format scandalistico delle parentopoli universitarie. Il ministero dell'Università ha censurato lo "scostamento" dalla legge, sterilizzando un problema, forse posto in modo discutibile, ma di certo esistente. L'Università ha resistito alla censura e ha emanato il Regolamento. E ora? Se avesse avuto ragione Sordi sarebbe nel giusto il ministero. Purtroppo, oltre la dialettica burocratica, la realtà ci dice che il problema esiste e, con buona pace di tutti, non Io risolve l'interdizione giuridica, ma la coscienza morale. Non è comunque questione di rispetto della legge, ma di piacere dell'etica: questione né ridondante, né ridicola.
(Fonte: G. Puglisi, Sette 15-12-2011)