Home 2011 5 Settembre Troppe (iper)critiche e troppe (iper)drastiche riforme
Troppe (iper)critiche e troppe (iper)drastiche riforme PDF Stampa E-mail

Oggi la situazione dei nostri atenei si può così riassumere: le nostre 78 università hanno una miriade di facoltà e di corsi di laurea inutili, se non ridicoli. Tali corsi di laurea, istituiti negli anni ’80 per compiacere all’allora dilagante richiesta di assunzione di docenti universitari, con metodi spesso clientelari, hanno ovviamente la necessità del corrispondente personale docente (e non solo). Ci si ritrova quindi al paradosso che oggi la gran parte di questi corsi di laurea, spesso frequentati da uno-due studenti, non sono coperti da docenti di ruolo, per cui, anziché avere il coraggio di abolirli, si è preferito rivolgersi ai ricercatori (che, ricordo, non hanno obblighi didattici) e, quel che è peggio, a persone estranee al mondo accademico mediante l’istituzione di contratti che hanno comportato un esborso di denaro pubblico esorbitante.

Mettendo mano alla riforma universitaria, il ministro Gelmini ha tentato di correggere alcune evidenti storture, istituendo la cancellazione o l’accorpamento di facoltà e di corsi di laurea, la trasparenza nei concorsi, il reclutamento e la progressione di carriera dei ricercatori, la nomina dei rettori, la figura di un direttore generale, le modifiche alla composizione e ai compiti del senato accademico e al consiglio di amministrazione, l’adozione di un codice etico con regole per garantire trasparenza nelle assunzioni e nell’amministrazione. Senza entrare nel merito delle singole voci, il ddl Gelmini è sicuramente un punto di partenza, un tentativo di smuovere le acque stagnanti dell’attuale sistema universitario, ma comunque, a mio avviso, solo un punto di partenza.

In altri Paesi (soprattutto anglosassoni) il sistema universitario, svincolato il più delle volte da sovvenzionamenti statali, distingue tra atenei di prima, di seconda e di terza categoria, cosa che non si è voluta (o potuta) adottare in Italia, dove tutte le università sono considerate allo stesso livello e dove i titoli di studio hanno lo stesso valore.

Alla luce della mia personale esperienza nell’università italiana, dapprima come studente e poi come docente, e in alcune università estere (Svezia, Finlandia, USA), ho constatato che nelle nostre università l’impegno e la presenza fisica dei docenti e degli studenti sono straordinariamente bassi se paragonati a quelli delle università americane e del nord Europa. In Italia si studia per ottenere un “lasciapassare” per accedere a un lavoro più o meno qualificato, all’estero si studia invece oltre che per apprendere, per avere uno scambio continuo di idee e di opinioni con i docenti (dai quali si pretende un impegno continuativo), per vivere un’esperienza a tempo pieno nei campus universitari anche al fine di raggiungere un’autonomia nella vita di tutti i giorni e per confrontarsi con altre realtà, spesso molto distanti dalla propria casa e dalla propria famiglia.

Sono convinto che in Italia abbiamo la necessità innanzitutto di modificare la mentalità dei nostri studenti (e delle loro famiglie), ma anche e soprattutto dei nostri docenti per far sì che le nostre università non siano dei “laureifici”, ma che possano trasformarsi in vere e proprie palestre dove il contatto quotidiano tra studenti e docenti possa tradursi in un confronto e in una verifica costante sui progressi delle conoscenze specifiche, così come avviene appunto nelle migliori università all’estero.

Viste le assurde proteste studentesche di questi ultimi giorni e assodato che qualunque tipo d’intervento (anche il più morbido, come quello della Gelmini) suscita comunque contestazioni da parte di tutti coloro che mirano a difendere i propri privilegi (rettori e professori) o ad essere facilmente strumentalizzati e usati (studenti e famiglie) perché si mantenga lo status quo, ecco che allora varrebbe la pena varare una riforma coraggiosa, incisiva, profonda che porti i nostri atenei a essere competitivi con quelli del resto del mondo. Gli interventi a mio avviso più urgenti dovrebbero riguardare innanzitutto: 1) una drastica riduzione degli atenei, delle facoltà e dei corsi di laurea; 2) una maggiore autonomia degli atenei e una loro suddivisione in categorie di merito; 3) la costante verifica della presenza dei docenti e degli studenti; 4) incentivazioni economiche e di carriera per i docenti migliori e deterrenti per quelli che non ottengono i risultati prefissati; 5) una carriera universitaria “blindata” dei ricercatori e dei docenti al fine di evitare possibili promozioni politiche o clientelari. Solo persone di grande spicco a livello scientifico o grandi personalità potrebbero trovare spazio all’interno dell’università esclusivamente mediante contratti a tempo, rinnovabili; 6) abolizione delle lauree brevi (e del sistema 3+2), vero fallimento delle ultime generazioni di studenti e ripristino dei Diplomi universitari molto più professionalizzanti; 7) convenzioni con strutture extrauniversitarie per il tirocinio degli studenti; 8) abolizione del numero chiuso per l’accesso degli studenti e incentivazioni economiche per quelli più meritevoli; 9) incentivazione dei trasferimenti per docenti e studenti, con incremento di alloggi a tariffe agevolate.
(Fonte: E. Dessy, ALI – ADG 30-08-2011)