Home 2011 5 Settembre Brevetti e ricerche in Cina
Brevetti e ricerche in Cina PDF Stampa E-mail

Secondo la World Intellectual Property Organization, investitori cinesi hanno presentato 203.481 candidature per brevetti nel 2008. Questo fa della Cina il terzo paese più innovatore dopo il Giappone (502.054 brevetti), e gli Stati Uniti (400.769). E' necessario però analizzare il dato più da vicino. Circa il 95% delle candidature cinesi per brevetti sono state presentate a livello nazionale presso lo 'State Intellectual Property Office', l'ufficio nazionale cinese per la proprietà intellettuale. La stragrande maggioranza di tali progetti ricade sotto la dicitura "innovazione" cinese, benché si tratti solo di micro alterazioni di progetti già esistenti. In tanti altri casi, un cinese "brevetta" un'invenzione estera in Cina con l'obiettivo ultimo di fare causa per contraffazione all'investitore estero dentro al sistema legale cinese il quale non riconosce appunto i brevetti rilasciati all'estero. Una buona misura per capire il fenomeno dei brevetti cinesi è invece guardare a quelle innovazioni che sono riconosciute fuori dalla Cina, analizzare per l'appunto il rilascio di brevetti e di concessioni che sono attribuiti a invenzioni di fattura cinese nei più importanti uffici mondiali per il rilascio dei brevetti: quelli statunitensi, quelli dell'UE e quelli del Giappone.

Come hanno messo in luce in un editoriale sulla rivista 'Science' Yigong Shi e Yi Rao, rispettivamente presidi presso le facoltà di bioscienze delle università di Tsinghua e di Pechino, per sovvenzioni che vanno da decine a centinaia di milioni di yuan, "è il secreto di pulcinella che fare buona ricerca non è tanto importante quanto lo è invece intrallazzare con burocrati e i loro esperti preferiti... L'attuale cultura della ricerca in Cina, ... spreca risorse, corrompe lo spirito, e impedisce l'innovazione". La cultura della ricerca in Cina, insomma, soffre pesantemente di una propensione a privilegiare la quantità sulla qualità della ricerca, e patisce l'uso di standard locali piuttosto che di quelli internazionali per la valutazione e la premiazione della produttività nei progetti di ricerca. Il risultato è una pandemia non solo di incrementalismo, ma anche di disonestà accademica. Uno studio effettuato nel 2009 dalla China Association for Science and Technology ha riportato che circa la metà dei 30.078 intervistati era a conoscenza di almeno un collega che avesse commesso frode accademica. Una cultura del genere inibisce la ricerca seria e spreca risorse. Certo, la Cina si fa strada sempre più rapidamente in alcuni campi come le tecnologie e le telecomunicazioni. Ma rimane vero che, in linea di massima, la Cina ha ancora un bel po' di strada da fare prima di diventare potenza globale dell'innovazione.
(Fonte: traduzione di E. Ferrazzani di un articolo di Anil K. Gupta e Haiyan Wang su Wall Street Journal Asia 20-08-2011)