Home 2011 25 Luglio Sull’espansione di un sistema d’istruzione terziaria
Sull’espansione di un sistema d’istruzione terziaria PDF Stampa E-mail

Penso che ormai l'opzione di un sistema che preveda università di serie A e università di serie B non sia più esercitabile. Il mondo politico nei primi anni settanta ha unanimemente aderito agli slogan del "movimento studentesco" che consideravano perfino l'articolazione in tre diversi livelli di titoli universitari (diploma, laurea, dottorato) un complotto della bieca reazione in agguato per impedire la mobilità sociale. (come è noto il dottorato fu sdoganato dieci anni dopo da una proposta dell'allora deputato Alberto Asor Rosa). Gli istituti aggregati, previsti dalla riforma Gui (noto come Disegno di legge 2314) abbandonata nel 1968, avrebbero svolto il ruolo che in Gran Bretagna hanno svolto i Polytechnics (promossi formalmente a università all'inizio degli anni 90). I docenti di queste istituzioni hanno un carico didattico molto più oneroso ma non è richiesto che facciano ricerca scientifica.

Contro la proposta di creare "istituti aggregati" in grado di conferire diplomi ma non lauree, sul modello dei Polytechnics, si schierarono anche i sindacati dei docenti,  ben consci che la prevista espansione del sistema di istruzione terziaria costituiva una formidabile possibilità di carriera per assistenti e professori incaricati, che sarebbe stata però confinata in istituzioni di seconda classe con maggiori compiti didattici, per almeno la metà degli iscritti ai sindacati, qualora avesse prevalso l'ipotesi degli "istituti aggregati", prevista dal disegno di legge governativo.

Negli anni successivi, prima dell’esplosione delle immatricolazioni (come percentuale di una coorte), istituti analoghi ai polytechnics avrebbero potuto sorgere come continuazione degli istituti tecnici, utilizzando ad esempio le migliaia di miliardi (di lire) sperperate nella cosiddetta istruzione professionale. Ma né i sindacati né la confindustria vollero mollare l'osso della istruzione professionale, i cui finanziamenti furono gestiti per anni in modo clientelare attraverso una spartizione tra sindacati, confindustria e partiti. Nel frattempo la liceizzazione dell’istruzione secondaria e le difficoltà di reclutare una docenza competente in materie tecniche e scientifiche attraverso l'assurdo sistema delle "graduatorie", ha portato ad un declino (in particolare delle iscrizioni) degli istituti tecnici. Io ritengo improbabile che possano avere successo gli istituti tecnici superiori di recente istituiti (e molto poco pubblicizzati) come alternativa all’iscrizione all'università.

Sarà difficile ormai dirottare gli studenti su studi "nonuniversitari". Considero la crescita (sempre in relazione alla consistenza numerica di una coorte) delle immatricolazioni, un fenomeno spontaneo non previsto né auspicato, cui è difficile rispondere con improbabili "numeri chiusi". Come ho scritto già diversi anni fa, in polemica con Panebianco che proponeva il numero chiuso generalizzato "nemmeno uno Stalin redivivo riuscirebbe a sbarrare la strada degli studi universitari a tanti giovani, in assenza di credibili alternative per continuare gli studi". Comunque per molti anni ho ritenuto che la scelta di non diversificare il sistema di istruzione terziario (sul modello, ad esempio della California) fosse sbagliata. Ora ho persino qualche dubbio. Saremmo stati capaci di creare un sistema senza vicoli ciechi come quello della California? Ricordo una conversazione con l'ex capo del dipartimento di matematica di UCLA, nel marzo 2008. Il mio collega si vantava del fatto che la metà dei "graduates" del suo dipartimento erano "transfer students" provenivano cioè dai gradini inferiori della piramide delle istituzioni terziarie. Quel che conta non è il dato (metà dei graduates) ma il fatto che un direttore di un dipartimento di matematica certamente tra i dieci migliori del mondo si vantasse di recuperare studenti che erano passati per istituzioni minori. Avrebbero avuto gli stessi sentimenti i professori italiani? Forse, con tutti i suoi difetti, è meglio un sistema confuso e indifferenziato come il nostro di un sistema fatto di vicoli ciechi, senza possibilità di passaggio da un livello all'altro.

Devo dire un'altra cosa. Il fatto che il nostro sistema sia indifferenziato dal punto di vista istituzionale non significa affatto che la diversificazione del corpo studentesco non si traduca in una diversificazione dei laureati. Ma, credo, la diversificazione passa attraverso le scelte autoselettive degli studenti. Nessuno studente debole in matematica ha il coraggio di iscriversi a ingegneria e meno che mai a fisica. Gli studenti più deboli, quelli che in un sistema articolato si iscriverebbero ad università di serie B finiscono per concentrarsi nei corsi di laurea di giurisprudenza, scienze politiche, ecc. Gli studenti migliori sono caratterizzati dai mancati o modesti ritardi nella laurea e dalla scelta di lauree considerate difficili o impegnative. Questo tipo di diversificazione ha i suoi costi. Non può succedere ad esempio che uno studente potenzialmente capace di seguire con successo un corso di laurea scientifico o tecnico ma che non ha la preparazione sufficiente per affrontare questo tipo di studi, trovi all'università la strada giusta per lui. Non è comunque una diversificazione istituzionale: il laureato in fisica di Lecce, laureato senza ritardi è decisamente più preparato e meglio selezionato del laureato in legge di Milano che si laurea con 4 o 5 anni di ritardo.
(Fonte: A. Figà Talamanca, nFA 30-06-2011)