I limiti del 3+2 |
A poco più di un decennio dal via la riforma del 3+2 mostra tutti i suoi limiti. Per la politica è stato un flop, per gli organi deputati a controllare pure. Per non dire degli studenti, che in sette su dieci preferiscono continuare a studiare. Mentre per il mercato del lavoro i laureati triennali sono una risorsa ancora da scoprire (e da capire). Perché se da un lato la metà dei laureati triennali a un anno dalla laurea ha già un'occupazione, dall'altro le aziende a caccia di laureati preferiscono puntare sulle specializzazioni. Con la conseguenza che il tiro sulla formazione triennale universitaria dovrà essere raddrizzato, per avvicinare il mondo produttivo ai baby laureati. I quali, dal canto loro, soprattutto quelli che decidono di intraprendere la libera professione, rivendicano competenze e ribadiscono professionalità, non più disposti a subire le pressioni dei colleghi quinquennali. Gli stessi che negli anni passati ne avevano addirittura messo in dubbio l'esistenza, proponendo, per esempio, l'abolizione del dpr 328/01 che nel ridisegnare l'accesso alle professioni ha creato le sezioni b degli ordini (quelle dei triennali appunto). E se reclamare un ruolo per i triennali significa passare per la creazione di un ordine autonomo sfilandosi dai Consigli nazionali di riferimento, ancora meglio. L'attacco alla formazione. Ma prima dei balzi in avanti che andranno a incidere sul mercato del lavoro, non si può non ricordare che il sistema del 3+2 ha subito non poche stoccate. Tra le più significative quella della Corte dei conti che, nel suo Referto sul sistema universitario dello scorso anno, denunciava come la riforma targata Berlinguer-Zecchino avesse di fatto fallito nel principale obiettivo di collegare il mondo accademico con quello del lavoro e delle professioni. Tra gli effetti negativi della riforma per i magistrati contabili c'era anche quello di «aver generato un sistema incrementale di offerta con un'eccessiva frammentazione delle attività formative». Una situazione che aveva portato i diversi ministri (Moratti, Mussi e Gelmini) ad apportare correttivi al sistema. E la retromarcia iniziata nel 2007-2008 (picco massimo dell'offerta formativa) oggi, secondo i dati elaborati dal Consiglio universitario nazionale su fonte MiUR, ha già portato a risultati concreti; grazie alla dieta seguita dagli atenei i corsi di laurea, tra triennali e specialistici, sono scesi sotto la soglia di cinquemila passando dai 5.460 del 2007 a 4.597 del 2010. La stretta più evidente si registra proprio nelle lauree triennali scese da 2.782 del 2007/08 a 2.241 dell'anno in corso con un taglio del 19,4%. E quello ai professionisti junior. Ma a essere attaccato non è stato solo il sistema formativo, ma anche quello di accesso alle professioni ridisegnato dal dpr 328/01 emanato l'anno di entrata in vigore della riforma universitaria. Su questo testo si era scagliato il Consiglio nazionale degli ingegneri presentando un ricorso contro la natura stessa del provvedimento che consente ai triennali di sostenere l'esame di stato e scegliere iscriversi all'albo degli ingegneri, sezione B, oppure a quello di geometri e i periti laureati. Un elemento di confusione che ha dato luogo a innumerevoli conflitti di competenza fra le professioni e ha portato lo stesso Cni nel corso di questi anni a sollevare questioni di legittimità di competenze degli stessi triennali. II futuro dei triennali tecnici. Proprio a partire da questo scenario i triennali stanno optando per una via di fuga per non rimanere schiacciati nel groviglio delle competenze. Va in questo senso la proposta di un ordine ad hoc avanzata dai professionisti aderenti al Cup 3, il Coordinamento universitari e professionisti triennali, presentata in occasione delle audizioni per la riforma delle professioni che si sono svolte lo scorso anno. Un albo degli ingegneri tecnici triennali che, dicono i rappresentanti di categoria, se riuscisse a intercettare solo un 20% dei 25 mila laureati nelle classi di laurea in ingegneria vorrebbe dire, un ingresso di 5 mila juniores l'anno. Ma per il futuro delle professioni tecniche di primo livello c'è ancora altro in cantiere, perché i triennali rappresentano una chance anche per il futuro dei diplomati periti industriali, geometri e periti agrari. Le tre categorie, infatti, dal canto loro portano avanti l'idea di creare un ordine dei tecnici laureati per l'ingegneria unificando, nello stesso tempo, i collegi delle tre categorie professionali dei diplomati. Una casa comune suddivisa in tre settori: civile, industriale, agrario e questi, a loro volta, in sezioni o sottosettori, in modo da creare circa dieci aree di alta specializzazione, nelle quali troveranno accoglienza le diverse professionalità chiamate a rispondere alle esigenze del mercato.(Fonte: B. Pacelli, ItaliaOggi 04-07-2011) |