Ottima ricerca nonostante il sottofinanziamento |
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Nei ranking internazionali, il nostro Paese è al 118° posto per efficienza del lavoro, al 48° per competitività del sistema industriale, al 51° per information technology, al 49° posto per libertà di stampa, al 67° posto (dopo il Ruanda!) per trasparenza nella pubblica amministrazione, mentre i ricercatori universitari italiani si collocano – secondo differenti classifiche – in una posizione compresa tra l’8° e addirittura il 3° posto, risultati comunque eccezionalmente buoni, più che adeguati al nostro peso economico e demografico (siamo in settima posizione per PIL). Eppure, paradossalmente, sono proprio industriali, giornalisti e politici (di ogni parte) a vedere la pagliuzza nell’occhio dell’università prima delle travi nei loro occhi, predicando la “inderogabile urgenza” delle riforme in corso, insieme all’insostenibilità dell’attuale status quo. Anche per quanto riguarda la didattica, i risultati delle università italiane possono essere considerati più che soddisfacenti: secondo un recente studio dell’OCSE, nonostante la quota di spesa pubblica destinata in Italia all’istruzione sia la più bassa in assoluto tra tutti i paesi OCSE, e nonostante questa quota privilegi (relativamente) l’istruzione primaria e secondaria rispetto a quella universitaria, nel nostro Paese la probabilità di occupazione di un laureato nella fascia d’età 25-64 anni è di oltre l’80%, contro valori di meno del 75% e di poco più del 50% rispettivamente per i diplomati ed i non diplomati (analogamente a quanto avviene negli altri paesi più industrializzati, caratterizzati da ben più massicci investimenti in istruzione). Tutto ciò nonostante che i dati P.I.S.A. dimostrino che la qualità dei diplomati, cioè degli studenti in ingresso nel sistema universitario, sia in Italia nettamente inferiore ai valori medi degli altri paesi OCSE: l’università italiana, quindi, nonostante sia drammaticamente sotto finanziata, non solo fa ottima ricerca, ma trasforma dei (mediamente) mediocri diplomati in più che buoni laureati. (Fonte: N. Costantino, Gazzetta del Mezzogiorno 29-04-2011)
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