Home 2011 18 Aprile Perché è strategico il mestiere di Antonio Scarpa
Perché è strategico il mestiere di Antonio Scarpa PDF Stampa E-mail

Antonio Scarpa ha un compito arduo, ma strategico. Ogni anno, grazie a una squadra di 500 ex professori universitari e grazie alla collaborazione di 30mila scienziati, deve esaminare 100mila domande di finanziamento alla ricerca medica. «Il sistema della peer review – spiega Scarpa, che dopo essersi laureato a Padova nel 1966 ha avuto una lunga carriera nella ricerca e nell'insegnamento – funziona a meraviglia: solo i progetti migliori ottengono fondi. Non ci sono concorsi, o finanziamenti fissi per università o aree geografiche: conta solo il merito. In ballo, ci sono 31 miliardi di dollari». Come avrete capito, Scarpa non lavora in Italia. È il responsabile del Center for Scientific Review del NIH, il National Institute of Health americano. La peer review – scienziati che valutano il lavoro degli scienziati – in Italia praticamente non esiste. I finanziamenti statali, circa l'1% del Pil e circa la metà dei maggiori concorrenti europei, sono distribuiti quasi senza il metro del merito, che pure la contestata riforma Gelmini tenta di introdurre. E fra stipendi magri, ricercatori che invecchiano in attesa di un posto e un sistema dove la burocrazia è semplicemente opprimente, i cervelli non sono incentivati come dovrebbero. Alcuni fuggono. Alcuni lottano lo stesso in laboratorio.

È un disastro? Beh, non proprio. «Nel numero di pubblicazioni per ricercatore siamo ai vertici mondiali», ricorda Franco Miglietta, dell'Istituto di Biometeorologia del Cnr, «nel 2009, l'Italia era nona nella computer science, ottava nella fisica, settima nella biochimica e nelle neuroscienze, sesta nella matematica: una performance da paese del G8. Sono pochi scienziati molto produttivi che tirano la carretta». La classifica «Top Italian Scientist» è la lista dei ricercatori italiani, inclusi quelli all'estero, che hanno un H-index superiore a 30. H-index serve a calcolare la produttività scientifica di un ricercatore (ma anche di un istituto, o di un paese) tenendo conto del numero di pubblicazioni sulle riviste internazionali, tutte rigorosamente peer-reviewed, e di quante volte sono state poi citate da altri: più o meno, quel che fa Google con il suo algoritmo per indicizzare le pagine web. Gli scienziati italiani con un H-index superiore a 30 sono oltre 1.800. Non pochi: tanti.

La scienza è diventata un'impresa globale. Ci sono 7 milioni di ricercatori nel mondo e la spesa internazionale in ricerca e sviluppo ha superato i mille miliardi di dollari (+45% sul 2002). Oggi che siamo nella cosiddetta "Economia della conoscenza", il sapere è una variabile imprescindibile della competizione. Ecco perché il mestiere di Antonio Scarpa è strategico (per gli americani). Perché è il trionfo della meritocrazia. «Se i ricercatori ottengono i finanziamenti – spiega lui stesso – l'NIH ne versa più o meno altrettanti alle università dove questi lavorano, per coprire i costi amministrativi. Le università sono sostenute dai fondi federali solo così: ecco perché fanno tutte a gara per assoldare i ricercatori migliori». Il sistema italiano invece, non difetta solo di meritocrazia e competizione. Gli manca anche la flessibilità. «C'è uno spaventoso carico burocratico non solo per ricevere i fondi statali, ma anche quelli europei», lamenta Alberto Mantovani, prorettore alla ricerca all'Università di Milano. «E l'articolo 18 della legge 240/10 ci ostacola perfino nell'assumere un tecnico per un progetto di due o tre anni».
(Fonte: F. Magrini, Il Sole 24 Ore 13-04-2011)