Quale assetto organizzativo per le università? Le lezioni dell’analisi comparata su un campione di otto università di quattro paesi europei |
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Nell’incontro “Quale assetto organizzativo per le università italiane?”, organizzato all’Università di Catania, a fornire gli spunti principali del dibattito è stato il rapporto di ricerca Unires–Fondazione Crui “Tra didattica e ricerca: quale assetto organizzativo per le Università italiane? Le lezioni dell’analisi comparata” realizzato da Gilberto Capano e Marino Regini. Lo studio, condotto su un campione di otto università di quattro paesi europei, è nato dalla volontà di approfondire in quale maniera questi atenei hanno organizzato ricerca e didattica. Il prof. Regini ha illustrato i risultati della ricerca condotta sulle università di Manchester e Leicester (Inghilterra), Amsterdam e Twente (Olanda), Monaco e Kassel (Germania) e Strasburgo e Aix-Marseille I (Francia). L’Inghilterra è caratterizzata da una grande libertà nelle decisioni di carattere organizzative, mentre in Olanda e Germania si ha un continuo rapporto tra legislazione statale e autonomia delle istituzioni universitarie. In Olanda si è assistito a un radicale processo di modernizzazione del mondo accademico; in Germania le innovazioni (meno radicali) si sono accompagnate al mantenimento di alcune dinamiche precedenti. Caso a parte è quello francese, che più di tutti i paesi europei ha subito i cambiamenti post-68 e ne subisce tuttora gli effetti. Marino Regini ha individuato quattro problematiche comuni, analizzando come le differenti istituzioni si comportano a riguardo. Sul tema della diversificazione e dell’integrazione delle responsabilità, «in Germania e Francia si assiste spesso a sovrapposizioni e confusione. In Inghilterra e Olanda c’è una netta diversificazione di ruoli e competenze e un’integrazione funzionale, mentre in Francia è in corso un intenso dibattito per realizzare degli aggiustamenti di tali dinamiche». Sul ruolo di “filtro” tra gli organi superiori e la base (formata da dipartimenti e facoltà), ad agire in maniera ottimale sono olandesi e inglesi, fondamentalmente «perché i dean hanno ruoli manageriali e sono nominati». In Germania e Francia non funziona altrettanto bene «poiché i presidi sono eletti con modalità simili a quelle che conosciamo e hanno la tendenza ad aggregare il consenso». Per quanto riguarda l’esatta dimensione dell’aggregazione delle strutture è difficile trovare una formula esatta che sia ottimale, mentre sul piano della distribuzione delle responsabilità la tendenza generale è per l’accentramento a discapito del decentramento. «In Olanda e Inghilterra c’è una managerializzazione delle cariche», ha spiegato il prof. Regini. «In Germania e Francia, pur avendo cambiato alcuni assetti, rimangono pratiche caratterizzate dalla persistenza del modello precedente. La domanda è legittima e ce la poniamo in molti: accadrà la stessa cosa in Italia?». Ma non è tutto rose e fiori aldilà dei confini italiani: «in Olanda e Inghilterra c’è difficoltà a trovare gestori che siano adatti al ruolo di manager e abbiano anche competenze accademiche. In Francia e Germania si mantiene opaca la catena di responsabilità, visto che permane l’elettività delle cariche intermedie». L’analisi del docente milanese è passata al dilemma principale che tutti gli atenei italiani stanno affrontando in questi mesi: «a chi affidare la gestione della didattica. Ai dipartimenti o alle strutture intermedie?». Se la scelta cadesse sui primi, avremmo «semplificazione e imputazione certa delle responsabilità, ma è un modello che non si è rivelato vincente». Una struttura intermedia potrebbe avere più successo per «la stessa natura multidisciplinare del mondo accademico». Ad ogni modo, secondo del prof. Regini «l’innovazione cruciale, su cui è necessario molto coraggio, è nella governance centrale degli atenei, non nell’affidamento delle funzioni a strutture periferiche». (Fonte: http://www.step1.it/index.php?id=6931-call-me-responsable 28-03-2011)
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