Home 2011 25 Gennaio Perché non funziona il rientro dei cervelli
Perché non funziona il rientro dei cervelli PDF Stampa E-mail
La legge 4 novembre 2005 n. 230 prevede la chiamata diretta come professore di prima o seconda fascia di studiosi italiani impegnati all'estero, che abbiano conseguito una posizione accademica di pari livello. Anche la legge Gelmini prevede tale possibilità. Con un apposito finanziamento, il decreto ministeriale n. 18/2005 permette a ricercatori con attività stabile all'estero da almeno tre anni di ottenere un contratto a termine (rinnovabile entro stretti limiti) con un'università italiana impegnandosi a un'attività continuativa, esclusiva e a tempo pieno. Inoltre questi studiosi sono tenuti a presentare una dichiarazione dell'università o istituzione di origine che attesti la loro messa in congedo o in aspettativa senza assegni per la durata del contratto. La legge Gelmini prevede, inoltre, la possibilità che il titolare di un contratto, dopo aver conseguito l'abilitazione scientifica a professore associato, sia inquadrato in tale ruolo. Ma coloro che sono ritornati, anche sulla base dei provvedimenti del ministero, sono stati poche centinaia di cui la maggior parte è poi ritornata all'estero. Perché il rientro dei cervelli non ha funzionato? Anche per mancanza di flessibilità dello stato giuridico dei professori e dei ricercatori. Un professore o un ricercatore che ritorna è lock-in: perde il legame istituzionale con l'istituzione estera e ricade nella legislazione italiana. Se volesse continuare a fare ricerca e a insegnare all'estero, ad esempio nella sua "vecchia" università, dovrebbe sottostare alla normativa esistente. Ma la disciplina sulla compatibilità dell'insegnamento all'estero per i docenti in ruolo nelle università italiane è lacunosa e la sua applicazione è dall'intreccio e dall’interpretazione non semplice e univoca di una serie di norme, nessuna delle quali regola direttamente e compiutamente il problema. Si può scegliere di continuare ad assolvere i propri compiti nell’università italiana di appartenenza (didattici e altri) ed essere autorizzati a svolgere attività didattiche e di ricerca all'estero. Se si chiede di essere esentati dai compiti nell’università italiana di appartenenza esiste il congedo di breve durata oppure il congedo straordinario di più lunga durata. La legge Gelmini prevede ora anche un'aspettativa per un periodo di cinque anni. È evidente la rigidità della normativa in un contesto in cui la flessibilità è premiante. La possibilità che un professore o un ricercatore facciano parte a pieno titolo di un’università o di un centro di ricerca all'estero aiuta il trasferimento di conoscenze, di know how, il movimento di allievi. Cosa che allo stato attuale non è possibile. Di qui la necessità della riscrittura delle norme sullo stato giuridico, sull'incompatibilità e poi della compatibilità con il tempo pieno. In altri sistemi, per esempio Gb e Usa, questi aspetti sono superati. Un esempio da seguire per migliorare il livello della ricerca e della didattica.
(L. Filippini, Il Sole 24 Ore 17-01-2011)