Perché la finanza pubblica va bene, l’occupazione anche, eppure il lavoro in Italia è sempre più povero, malgrado un taglio delle tasse sulla busta paga da 17,6 miliardi negli ultimi anni? Cos’è che non quadra? Esistono tasse invisibili, di cui non ci accorgiamo ma che paghiamo per far quadrare i conti dello Stato? Ed esiste un’anomalia italiana, nel confronto internazionale? La risposta, purtroppo, è un doppio sì: esistono tasse invisibili ed esiste un’anomalia italiana. Ed entrambi questi fattori contribuiscono a spiegare perché il lavoro in Italia sia così povero, mentre i conti dello Stato migliorano. Non è vero che il governo ha ridotto le TASSE SUL LAVORO: complessivamente le ha alzate, soprattutto per i ceti medi (compreso chi lavora nelle UNIVERSITÀ). Infatti nel Documento di finanza pubblica 2025 appena pubblicato si nota il forte aumento delle imposte dirette e del totale delle entrate correnti nel 2024 in proporzione al Pil; mentre “Taxing Wages 2025” dell’Ocse mostra che l’Italia l’anno scorso ha avuto di gran lunga il più forte aumento del cuneo fiscale fra i 37 Paesi e siamo risaliti alla quarta posizione per prelievi più alto sulle buste-paga. E il lavoro, a causa del basso investimento in ricerca, sviluppo e conoscenza, si impoverisce di suo. Intanto circa cinque milioni di contribuenti, spesso dotati di buoni patrimoni, sono al riparo dalla tassa “invisibile” perché pagano aliquote decisamente più basse e soprattutto piatte: dalle cedolari secche sugli affitti, all’eponima flat tax, alle rivalutazioni di società non quotate, ai redditi da capitale, ai “redditi dominicali” in agricoltura, ai catasti preistorici e si potrebbe continuare. Così in Italia il ceto medio del lavoro dipendente paga sempre di più aliquote da ricchi, mentre almeno alcuni ricchi pagano aliquote più simili a quelle da poveri. F: F. Fubini, CorSera 12.05.25.
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