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LA RICERCA NON È UN COSTO, MA UN INVESTIMENTO, E ADREBBE SCLUSO DAL DEFICIT PDF Stampa E-mail

Con una sua nota, la senatrice Elena Cattaneo ribadisce le ragioni che l’hanno spinta a proporre di affiancare al nuovo contratto di ricerca altre forme contrattuali più leggere che hanno rappresentato «un freno a mano d’emergenza per impedire che, già dai prossimi mesi, fossero espulsi dal circuito della ricerca tra settemila e diecimila giovani ricercatori, in mancanza degli strumenti per reclutarli». Questa opzione ha avuto la meglio con l’approvazione alla Camera del PNRR-scuola, per quanto avversata da altre opinioni. Comunque la si pensi, resta la realtà pesante del precariato nelle università e nei centri di ricerca. E fa piacere quindi vedere che pur da posizioni diverse tutti invocano un aumento dei finanziamenti per università e ricerca. Conclude la sua nota Elena Cattaneo: «Il precariato, in ogni caso, lungi dall’essere risolto dal solo Contratto di Ricerca che, per legge, esclude espressamente l’accesso al ruolo, può essere invece ridotto solamente aumentando in maniera stabile il Fondo di Finanziamento Ordinario delle università (FFO) e garantendo un turn-over almeno pari al 100%. Da tempo sono tra le più strenue sostenitrici della Strategia italiana per la ricerca fondamentale, documento elaborato nella scorsa legislatura dal Tavolo tecnico istituito presso il MUR, che traccia una “road map” per il post-PNRR, proponendo azioni concrete per stabilizzare la spesa pubblica su ricerca e sviluppo almeno al livello dello 0,7% del PIL, a partire dal 2027-2028».
I soldi spesi in formazione e ricerca non dovrebbero essere considerati un costo, ma un investimento. Perché non escluderle dal deficit strutturale, come dal 2024 è possibile fare in Europa per le spese per la difesa? F: L. Carra, scienzainrete 06.06.25.