L’UNIVERSITÀ NEL QUADRO PRESENTATO DA PUBBLICO N.RO 29 COME “IL PREZZO DELL’UNIVERSITÀ LOW COST” |
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Dal governo nuovi tagli: 500 milioni nel 2024, i più pesanti nella storia del Fondo di Finanziamento Ordinario delle università, maggiori di quelli targati Gelmini (2008-10), poi altri 700 milioni nel 2025-27. Si aggiunga il precariato della ricerca: circa 40 mila a fine 2024 (il 44% del totale) secondo Roars, a cui sommare migliaia di borse e docenze a contratto. Un trend cui l’Unione Europea chiede da anni di porre fine, inquadrando i ricercatori per quello che sono: lavoro dipendente. Oltre che adulti iperqualificati. Per questo, nel 2022 il DDL “Verducci” sostituì il vecchio Assegno di ricerca con il Contratto di Ricerca. Una posizione biennale senza sbocco, ma un vero contratto di lavoro. Nonostante il maggior costo del Contratto rispetto all’Assegno, il Governo Draghi non stanziò però maggiori fondi, e permise anzi di continuare a bandire Assegni con i fondi PNRR – di cui il DDL Verducci era legge attuativa. Al termine di questa “bolla”, una commissione presieduta dall’ex Presidente della Conferenza dei Rettori, Ferruccio Resta, ha concepito il DDL Bernini, il c.d. “cassetta degli attrezzi” che si riferisce principalmente al Disegno di Legge (DDL) 1420 sulla riforma dei contratti di ricerca e delle figure pre-ruolo nel sistema universitario e della ricerca, annunciato nel 2024. Questo provvedimento, presentato come una serie di strumenti per superare il precariato e migliorare le condizioni di ricercatori e dottorandi, ha suscitato molte discussioni e critiche, ed è stato dalla ministra sostituito con ilDDL. Disposizioni in materia di valorizzazione e promozione della ricerca. AS 1240. Art. 1. Modifiche all’articolo 22 della legge 30.12.2010, n.240: Art. 22 bis incarichi post-doc. Art. 22 ter. incarichi di ricerca). Inoltre gli atenei fronteggiano l’inedita competizione delle telematiche – “salvate” dal Governo con il “Decreto Bandecchi”, che permette loro di eludere i criteri minimi imposti alle “concorrenti” – in primis il rapporto docenti-studenti, che nelle telematiche è di oltre 300 a 1. Risparmiando sulla docenza, queste università (dal 2019 società di capitali for profit) offrono un’alternativa scadente ma a basso costo, considerando gli affitti fuori controllo delle città universitarie e la penuria di borse e studentati: con già il 14% degli iscritti totali, le telematiche si candidano a sostituire quasi del tutto gli atenei pubblici, soprattutto al Sud e nelle aree interne». F: G. Gabbuti, fondazionefeltrinelli.it, da un articolo tratto dal n. 29 di PUBBLICO. |