L’innesto del capitalismo tecnologico billionario sul tronco reazionario del trumpismo genera un nuovo fenomeno culturale e politico che segnerà questa stagione: la tecnodestra, la tech right come l’ha chiamata Elon Musk su X, benedicendo un post che l’annunciava e la battezzava: “Questo riassume più o meno il tutto, e mi ha aperto gli occhi”. Dunque la tecnodestra ha già varcato il Rubicone, si è costituita in soggetto pubblico, è entrata nel territorio della politica tradizionale, promettendo di rivoluzionarla. Figlia di due estremismi del capitalismo e del trumpismo, può essere soltanto radicale, nei programmi che diventano progetti, nelle riforme che si trasformano in innovazione, nel governo visto come missione. Ci eravamo accorti, naturalmente, delle immense fortune accumulate dagli imprenditori plurimiliardari della Silicon Valley, grazie a un talento tecnologico che ha trasformato la nostra vita: ma non avevamo capito che il connubio favoloso tra iper-tecnologia e iper-profitti (che nel caso di Musk superano il Pil di Paesi come il Portogallo) produceva una sorta di plusvalore carismatico e insieme la tentazione di spenderlo al banco di comando della nostra vita associata, quello del potere politico, giocando tutto sulla ruota della democrazia, supremo regolatore dell’intero sistema. Per la destra estrema è arrivato il momento di correggere la democrazia, di tagliarle le unghie eliminando il suo carattere liberal-democratico, quindi il suo culto per lo Stato di diritto, la sua ossessione per i controlli, il bilanciamento dei poteri, la coscienza del limite: per liberare finalmente la piena potestà del leader che ha vinto le elezioni, conferirgli i mezzi per esercitare non soltanto il governo ma il comando, e instaurare il “potere verticale” delle “democrazie autoritarie”. F: E. Mauro, La Repubblica 28.12.24.
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