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LA BOLLA DELL’“INTELLIGENZA ARTIFICIALE GENERATIVA” PDF Stampa E-mail

La cosiddetta “intelligenza artificiale generativa” richiede potenti infrastrutture di calcolo ed enormi quantità di dati. Tra i soggetti privati, tali risorse sono nella disponibilità delle sole grandi aziende tecnologiche transnazionali che, in virtù di un modello di business fondato sulla sorveglianza, detengono l’accesso al mercato necessario per l’intercettazione di grandi flussi di dati e metadati individuali e le infrastrutture computazionali per la raccolta e l’elaborazione di tali dati. Il modello di business di tali aziende si fonda su pratiche coloniali di sfruttamento del lavoro, su un’enorme quantità di dati e opere del lavoro umano, estorti o prelevati in blocco là dove si trovino, e sull’esternalizzazione dei disastrosi costi ambientali: poiché il tentativo di replicare con sistemi meramente probabilistici l’intelligenza umana richiederebbe una potenza di calcolo infinita, il percorso intrapreso dalle Big Tech condurrà all’esaurimento delle “risorse naturali molto prima di poterci avvicinare” a un simile obiettivo. In varie parti del mondo, gli impianti di produzione di microchip e i data center competono ormai con le popolazioni locali per l’acqua e l’energia necessarie a lavarsi o sfamarsi, con fabbisogni che eccedono talvolta la totalità dell’energia disponibile e inducono aziende quali Microsoft a progettare un’alimentazione dei propri data center attraverso reattori nucleari. I giganti della tecnologia che avevano assunto impegni di riduzioni delle emissioni di gas serra sono ora impegnati – data l’evidenza di un aumento, anziché una diminuzione, di tali emissioni – a far modificare le modalità di calcolo dei relativi indicatori, con pretese analoghe a quelle di chi si recasse al lavoro con un’auto a benzina e volesse acquistare da un collega più in forma “il diritto di sostenere che si reca al lavoro in bicicletta“. F: D. Tafani, Roars 21.10.24.