Meritocrazia Stampa
La meritocrazia può essere intesa in termini formali, di mera assenza di barriere giuridiche all’accesso, o in termini sostanziali, di contrasto delle barriere che lo svantaggio socio-economico potrebbe produrre sullo sviluppo delle abilità. In quest’ultima prospettiva, come affermato nell’art. 34 della nostra Costituzione, «i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi» dovrebbero avere eguali opportunità «di raggiungere i gradi più alti degli studi». Dovrebbero, altresì, avere le stesse opportunità di accedere alle posizioni di vantaggio nel mercato del lavoro, come la stessa Costituzione afferma, infatti, all’art. 4. I poli d’interesse per l’analisi e la valorizzazione del merito sono principalmente due: i luoghi deputati alla formazione del capitale umano, in primis la scuola e l’università; i luoghi deputati all’utilizzo dello stesso, le aziende e il mercato del lavoro. Solo studiando a fondo il merito in questi contesti si può pervenire a un concetto che non sia mero richiamo retorico in un paese in cui prevalgono – per utilizzare alcune delle locuzioni più abusate – il “mal di merito” e un certo “familismo amorale”. D’altra parte bisogna evitare che la tanto auspicata “meritocrazia” si realizzi a scapito di ogni altra considerazione creando nuove forme di disuguaglianza. Solo considerando il merito «un compito problematico che la società non può non proporsi» – come auspicato da Vittorio Mathieu in un recente contributo si può pervenire a una visione che permetta di trovare un equilibrio tra posizioni opposte e, apparentemente, inconciliabili.
(Fonte: C. Ciappei,  Universitas 120 Giugno 2011)