DOTTORI DI RICERCA. QUANTO, DOVE E COME LAVORANO Stampa

Un'indagine ISTAT su chi ha conseguito il dottorato nel 2012 e nel 2014, a 4 e a 6 anni, attesta che il 93,7% dei dottori lavora, e oltre sette occupati su dieci hanno iniziato l'attività̀ lavorativa nel 2018. Il 36,3% lavora a tempo indeterminato il 25,4 % a termine, il 20,7% svolge un'attività̀ finanziata da una borsa di studio o da un assegno di ricerca, il 9,2% ha un'attività̀ autonoma mentre l'8,5% lavora come collaboratore o prestatore d'opera occasionale. Uno su quattro (il 24,1%) dei neo dottori è occupato in ambito universitario, il 17% nell'istruzione non universitaria, il 13,6% in istituti di ricerca pubblici o privati, mentre un occupato su dieci con dottorato lavora nel settore dell'agricoltura e dell'industria. I tassi occupazionali più bassi riguardano i dottori dell'area delle scienze politiche e sociali (lavora l'89,4% dei dottori del 2012 e 2014), mentre al top della classifica troviamo quelli dell'area dell'ingegneria industriale e dell'informazione (oltre il 97% dei dottori del 2012 e 2014 lavora). In molti casi questi giovani non lavorano grazie al dottorato. Per la metà dei dottori di ricerca il titolo non appare necessario allo svolgimento dell'attività̀ lavorativa, indipendentemente dall'essere o non richiesto dal datore di lavoro. Le percentuali differiscono a seconda dell'area disciplinare: i valori più elevati si osservano nell'ambito delle scienze giuridiche, dove il 26,5% dei dottorati ritiene che il dottorato non sia un requisito d'accesso e, nel 56,7% dei casi, che non sia necessario allo svolgimento dell'attività̀ lavorativa. Se non si riscontra né utilità formale né sostanziale del percorso di dottorato si parla di mismatch. Fuori dal mondo accademico il titolo non gode di un gran riconoscimento. Il settore dei servizi alle imprese, quello dell'agricoltura, dell'industria, della PA e della sanità presentano rischi di mismatch significativamente più elevati rispetto all'istruzione universitaria. Per le donne il rischio di mismatch aumenta del 20% rispetto agli uomini. Chi è andato all'estero fa un lavoro più in linea con quanto ha studiato. È impiegato nell'ambito della ricerca e sviluppo l'88% di chi è emigrato contro il 66% di chi è rimasto. È occupato in ambito accademico il 43% di chi è emigrato contro il 24% di chi è rimasto in Italia. (Fonte: C. Da Rod, IlSole24Ore 26-09-19)