Illusori i risultati della legge sul controesodo dei talenti Stampa
Una legge bipartisan, in vigore da otto mesi, che avrebbe dovuto incentivare il ritorno dei talenti italiani con una riduzione della pressione fiscale non decolla ancora. I decreti attuativi sono arrivati solo a giugno e restano molti dubbi sulla sua concreta applicazione. L'idea (bipartisan) è che, riducendo le tasse ai giovani laureati eccellenti emigrati, essi rientrino nelle università e nelle imprese italiane. Di là dalle difficoltà attuative della legge (le procedure e le condizioni per ottenere lo sconto fiscale non sono chiare, come peraltro avviene per la maggioranza delle leggi italiane), esiste una ragione profonda per cui questa legge servirà a poco: i fondamentali della nostra economia e società, essendo totalmente lontani dalla meritocrazia e dalla valorizzazione dell'eccellenza, allontanano i «cervelli» italiani e non attraggono quelli stranieri (l'obiettivo non dovrebbe neanche essere il «controesodo» ma una «bilancia di talenti» in pareggio: tanti ne emigrano quanti ne arrivano). Dove vanno di solito i giovani laureati eccellenti, i cosiddetti «talenti»? Nelle università e nelle imprese migliori, che però in Italia, a parte qualche eccezione, scarseggiano: le università perché non c'è un solo ateneo italiano tra i 100 migliori del mondo (e uno scienziato eccellente vuole fare ricerca in università eccellenti); le imprese perché la prima vittima del «piccolo è bello» sono stati i laureati (eccellenti e meno eccellenti), dato che di solito sono le grandi imprese ad assumerli e a valorizzarli e non quelle piccole (perché mai un'impresa che vuole rimanere piccola, magari facendo del «nero» la sua arma competitiva, dovrebbe assumere un laureato?). Ci sono solo due modi per attrarre più talenti in Italia. Il primo è una drastica riforma dell'università, ripensandone la governance e i criteri di finanziamento. Il secondo è una robusta iniezione di sana concorrenza nel mondo delle imprese italiane con l'obiettivo che il nostro Pil tra vent'anni provenga per il 30 per cento da medie e grandi imprese (oggi lo è per il 3%). E su queste riforme che i giovani (e un po' ingenui) politici, promotori della legge in questione, dovrebbero concentrarsi per avere un vero «controesodo» di cervelli: senza meritocrazia nelle università e nelle imprese italiane uno sconto fiscale servirà a ben poco.
(Fonte: R. Abramavel, Corsera 31-08-2011)