Nuove considerazioni in merito all’abolizione del valore legale della laurea Stampa

È un problema che a intervalli regolari ritorna prepotentemente a far parlare di sé. Il valore legale della laurea è una questione che divide gli esperti del settore e anche oggi, nel mezzo delle contestazioni alla riforma Gelmini per l'università, rimane di estrema attualità. Nel ddl recentemente approvato alla Commissione Istruzione del Senato e ormai pronto per l'esame dell'Aula, non dovrebbero esserci colpi di scena al riguardo: l'attuale maggioranza sta spingendo per l'approvazione di una serie di accorgimenti normativi che, seppur indirettamente, porterebbero ad una deregolamentazione dei titoli di studio.

In Italia, il valore legale comporta che la laurea sia un certificato pubblico, rilasciato in nome della legge dal ministero competente o da un'autorità accademica. Il motivo di tanta ostilità nei confronti del valore legale sta nel controllo statale sui curriculum universitari e sui corsi di studio, una mano pesante che ingesserebbe sia il mondo universitario che quello del lavoro. In altri paesi, come ad esempio il Regno Unito, non esiste il valore legale del titolo di studio, ma la verifica sul valore reale dei corsi di studio in grado di garantire l'idoneità professionale dei giovani è affidata ad un'agenzia indipendente, la Quality Assurance Agency. Intervistato da Affari&Finanza di Repubblica, Carlo Finocchietti, direttore del CIMEA - Centro Informazioni sulla Mobilità e le Equivalenze Accademiche, ha espresso il suo parere in merito al dibattito in merito allo sgretolamento del muro del valore legale anche in Italia. "Il valore legale della laurea si basa su due pilastri: uno è l'ordinamento didattico nazionale, che fissa le caratteristiche generali dei corsi di studio e dei titoli rilasciati; l'altro è l'esame di Stato, che accerta, nell'interesse pubblico generale, il possesso di determinate conoscenze e competenze. È in atto un progressivo depotenziamento del titolo di studio attraverso le varie riforme universitarie che diminuiscono il controllo statale sui corsi universitari, definiti ad oggi per il 40% dagli atenei. Aumentando in questo modo la diversità e la competizione tra università si sta creando un terreno fertile per una futura abolizione. Tuttavia il percorso non è semplice. Se si vuole abolire il valore legale del titolo di studio, si dovrebbe eliminare anche l'esame di Stato, passaggio obbligato previsto nella nostra Costituzione per esercitare una professione per le categorie protette come medici, ingegneri, avvocati ecc. È una strada molto delicata. Ritengo che siano davvero pochi coloro che vogliono liberalizzare totalmente, affidando ad enti esterni certificatori l'idoneità professionale. Credo, infine, che si procederà a piccoli passi, cercando di ottenere analoghi risultati senza stravolgere l'attuale assetto normativo".
(Fonte: D.G., rivistauniversitas luglio 2011)