Tasse universitarie: no all’aumento ma sì a una maggiore equità Stampa

Il Festival dell’Economia dedica un appuntamento del suo nuovo format “Pro e Contro” al tema, delicato e attuale, delle tasse universitarie. Uno spunto per riflettere sull’accesso all’istruzione universitaria, sui finanziamenti agli atenei, sulla competizione internazionale nella formazione. A difendere la tesi dell’aumento delle tasse, Gustavo Piga, docente di Economia politica all’Università di Roma “Tor Vergata”; dalla parte opposta Gianfranco Cerea, docente alla Facoltà di Economia dell’Università di Trento. E il pubblico prima si divide e poi premia la linea contro l’aumento: se non esiste un sistema di valutazione adeguato che valorizzi l’offerta degli atenei, aumentare le tasse non servirebbe a riconoscere la qualità, né a generarla.

L’incontro, coordinato da Alberto Orioli, vicedirettore de “Il Sole 24 Ore” e introdotto da Daniele Checchi, docente di Economia del lavoro all’Università Statale di Milano, si è aperto con l’esposizione delle tesi da parte dei due relatori, davanti agli studenti e al pubblico del Festival dell’Economia, riunito nella sala Depero del Palazzo della Provincia.

Un tema, quello delle tasse universitarie, che ha suscitato subito l’interesse del pubblico, attirato dal grande dibattito seguito all’introduzione della riforma del 3+2 e alla crisi delle risorse che ha paralizzato il sistema universitario.

«Si tratta di una questione complicata – ha introdotto l’economista Daniele Checchi – perché nel valutarla bisogna tenere conto sia dell’uguaglianza nella possibilità di accesso all’istruzione universitaria, sia delle difficoltà di finanziamento degli atenei, aspetto che vede l’Italia collocarsi nettamente al di sotto della media OCSE quanto a risorse a disposizione per gli atenei. Nel nostro Paese la contribuzione studentesca, che concorre per circa il 12% al finanziamento delle università, si è attestata sul principio secondo cui, a fronte di scarsa spesa, si ha scarsa qualità. In altri Paesi, invece, la quota di contribuzione è più elevata ma lo è anche, di conseguenza la qualità dell’offerta. Un recente studio dell’Ocse, in questo senso, raccomanda l’utilizzo della contribuzione studentesca come uno degli strumenti per generare maggiore competizione e migliorare la qualità, secondo il principio: più si paga e più ci si aspetta. Di certo nella valutazione concorrono anche altri fattori: ad esempio, la pianificazione di quanti laureati il nostro Paese ha bisogno o la valutazione delle opportunità di accesso. Ma la domanda resta: quale livello di finanziamento possiamo assicurare al sistema universitario e, di conseguenza, quanto possiamo spingerlo nella competizione internazionale?».

Una domanda cui i due economisti del Pro e Contro hanno cercato di dare risposta dopo un primo sondaggio sulle opinioni del pubblico che si è schierato con il 46% dei voti contro l’ipotesi di rialzo delle tasse, per il 37% a favore, mentre il 16% ha preferito astenersi e rimandare la decisione. «Viva le tasse universitarie, perché rendono il sistema più equo», ha esordito Gustavo Piga, introducendo le sue tesi a favore dell’aumento. «Ma bisogna fare attenzione. In Italia il sistema è tale per cui a finanziarlo sono di fatto gli studenti meno abbienti. Ci troviamo dunque in una situazione altamente regressiva. La scelta dell’università rivela un bisogno di mobilità sociale: la si sceglie per arricchirsi, per apprendere, per conoscere culture diverse. Dobbiamo quindi chiederci quale schema di tassazione favorisca il raggiungimento di questi risultati. E anche come tassare, perché i modi possono essere i più svariati ed è importante decidere quali aspetti privilegiare».

«Va detto innanzitutto che l’aumento delle tasse può influire sulla percezione del valore dell’offerta universitaria – ha aggiunto Piva. Tasse basse, infatti, equivalgono spesso nella percezione internazionale, a bassa qualità. Inoltre, non è importante quanto spendiamo ma come. Aumentare le tasse ha una finalità di redistribuzione, anche se bisogna cercare di arginare il fenomeno della fuoriuscita degli studenti dal sistema. Io penso però che la decisione della scelta universitaria non stia nel sistema adottato per la tassazione. Lo dimostra il fatto che nel nostro Paese, dove le tasse sono già basse, non si assiste di certo a un ingresso di massa. Bisogna chiedersi dunque perché tante persone, magari brave, non vadano all’Università. Il problema sta spesso nei genitori delle famiglie povere che non mandano i figli, nonostante il vantaggio che ne potrebbero avere nel frequentarla. Una miopia che secondo l’Ocse può incidere fino al 50% della decisione. È dunque importante intervenire nel momento giusto, attraverso una campagna culturale forte. La politica deve orientarsi verso un modello diverso da quello della tassazione».

Contrario invece all’ipotesi di alzare le tasse universitarie Gianfranco Cerea: «Non servirebbe. La rete di collusioni che è attiva tra gli atenei italiani a vari livelli porterebbe inevitabilmente ad un rialzo generalizzato, indipendentemente dalla qualità dell’offerta. Questo avverrebbe perché il sistema è caratterizzato dalla presenza di oligopoli che soffocano la concorrenza tra atenei e presenta anche notevoli asimmetrie nelle informazioni disponibili: come si fa, ad esempio, a stabilire quale sia una buona facoltà? Occorrerebbe un sistema oggettivo di ranking delle facoltà che ancora non è sufficientemente messo a punto. Bisognerebbe dare un’autonomia vera alle università e accettare che gli atenei possano anche fallire. Soltanto allora sarebbe possibile ragionare su “prezzi di mercato” che vadano di pari passo con la qualità».

«Le tasse devono essere viste piuttosto come uno strumento per conseguire altri obiettivi – ha chiarito Cerea. Come quello di finanziare il diritto allo studio senza gravare sugli studenti meno abbienti, oppure spingere gli studenti a rispettare i tempi. Una proposta potrebbe prevedere misure specifiche per studenti che arrivano da famiglie molto povere, da individuare e sostenere ancora prima dell’immatricolazione, già nelle scuole superiori. E poi sostenere il principio dell’iscriversi per laurearsi: al momento dell’iscrizione bisognerebbe discriminare i titoli di studio, perché non sono più tollerabili abbandoni di quasi il 50%, anche tra quelli che ricevono una borsa di studio». Cerea ha poi fatto riferimento al sistema introdotto come apripista dall’Università di Trento, che ha alzato le tasse universitarie, ma allo stesso tempo, ho riversato il gettito derivante sulle borse di studio per gli studenti che si sono laureati in tempo e con buoni voti».

«Su un piano sociale più ampio – ha aggiunto - si potrebbe dotare tutti i cittadini alla nascita iscritti di un fondo previdenziale che può essere utilizzato nel corso della vita per lo studio, l’acquisto della casa o le attività di formazione, cui possono versare sia i giovani, che i nonni, sollecitati da robusti incentivi fiscali. Allora sì che potremo alzare le tasse universitarie, ma soltanto per sostenere il diritto allo studio. Ma la strada per l’equità è ancora lunga».

La votazione finale che ha decretato la fine del dibattito ha visto una riconferma ancor più convinta delle posizioni espresse dal pubblico all’inizio dell’incontro: il 56% dei votanti (10 punti in più rispetto a prima) ha votato contro l’ipotesi di rialzo delle tasse; il 28% (9 in meno di prima) ha votato contro e la percentuale di astenuti è rimasta invariata, 16%.

Marco Magarini dell’Istat ha infine chiuso l’incontro offrendo un quadro della rilevazione telefonica condotta a maggio su un campione di 2000 consumatori italiani sullo stesso tema. Alla domanda se sia giusto alzare le tasse universitarie al fine di migliorare il servizio, il 60,7% degli intervistati si è dichiarato per nulla d’accordo, il 20,2% poco d’accordo, l’11,2% abbastanza d’accordo, e solo 1,9% molto d’accordo (il 6% non sa rispondere).
(Fonte: julienews.it 06-06-2011)