PERCHÉ DA NOI I LAUREATI SONO POCHI E CRESCONO MENO CHE ALTROVE? Stampa

Un'analisi dettagliata delle statistiche OCSE contiene una buona notizia ed una cattiva. La buona notizia e' che anche da noi le nuove generazioni si laureano di più. Tra i 55-64 anni solo il 12 percento degli italiani è laureato, un po' più di 1 su 10, mentre tra i 25 -34 anni il numero è più che raddoppiato a 27 %, tra i giovani quasi uno su tre è laureato. La cattiva notizia è che se ci paragoniamo con il mondo industrializzato, non solo gli italiani meno giovani sono il fanalino di coda delle lauree, ma tra i più giovani il gap si sta allargando. Perdiamo terreno nei confronti di tutta la OCSE, ma colpisce quanto ne perdiamo nei confronti di un paese come la Corea che parte da livelli simili ai nostri per i meno giovani, ma che per i giovani è diventato l'assoluto record mondiale: 7 giovani coreani su 10 sono laureati.
Perché da noi i laureati sono pochi e crescono meno che altrove? Il " diritto allo studio " (leggi la università è troppo cara) è un falso problema: le rette sono tutt'altro che proibitive (meno di 2 mila euro/anno) e uno studente con pochi mezzi che passa il test di selezione al Politecnico le paga in maniera molto ridotta e viene ospitato nelle case dello studente gestite dal Politecnico. I veri problemi sono due che si rafforzano a vicenda: manca la domanda di laureati da parte delle aziende e l'offerta di laureati da parte delle università è inadeguata.
Le aziende italiane non assumono molti laureati perché sono troppo piccole. Una piccola azienda non ha bisogno di laureati, lavora l'imprenditore che assume periti industriali più o meno specializzati; il commercialista segue la parte fiscale e contabile, la informatica la segue uno studio esterno, la direzione personale non serve – le paghe le fa un servizio esterno.
La seconda ragione è la non ottima qualità della formazione dei laureati, riconosciuta dai datori di lavoro ma non dai docenti. Un laureato in ingegneria al politecnico di Milano o in economia alla Bocconi trova sempre lavoro alla laurea e gli stipendi sono migliori dei non laureati. Questo perché sono più bravi a progettare un sofware o conoscono meglio la finanza? Non necessariamente. La ragione è che i datori di lavoro sanno che sono stati selezionati duramente (e quindi sono già "più bravi"), sanno ragionare bene, risolvere i problemi e hanno imparato (in verità poche) soft skills. Accade anche in una altra decina di università italiane ma non in gran parte delle altre 60 perché le università insegnano il problem solving a livelli elementari e zero soft skills.
Questi due problemi si rafforzano a vicenda: se le aziende aumentassero la domanda si contenderebbero i pochi laureati migliori con stipendi migliori (oggi un neo laureato del Politecnico guadagna meno di un neo ingegnere cinese) e ci sarebbe una salutare corsa alle università migliori, stimolando l'aumento della qualità. Se le università sfornassero laureati con le skills giuste, le migliori aziende aumenterebbero la loro competitività e l'economia crescerebbe. (Fonte: R. Abravanel, meritocrazia.corriere.it 14-12-18)