L’INSEGNAMENTO IN INGLESE E IL CONSIGLIO DI STATO Stampa

"Al Politecnico di Milano l'insegnamento in inglese non lede il diritto allo studio, ma favorisce il diritto al lavoro». Con queste parole, l'Advisory Board dell'ateneo milanese inizia la pagina a pagamento, apparsa sul Corriere della Sera il 6 Aprile u.s., in risposta alla sentenza del Consiglio di Stato, che vieta i corsi di laurea nella sola lingua inglese. Inaugurati nel 2014, in base alla riforma Gelmini, tali corsi si prefiggono di internazionalizzare i nostri studenti, in un mondo sempre più globale, tanto che l'agenzia americana QS ha classificato il Politecnico al 18° posto in ingegneria, al 9° posto in architettura e al 5° posto nel design, nelle graduatorie mondiali di qualità degli atenei. Tale sentenza si baserà certamente su una delle circa 220.000 leggi, leggine e/o pareri della Cassazione, attualmente vigenti nel nostro ordinamento giuridico. Dalla nascita dello Stato unitario infatti, alla scarsa efficacia delle azioni di molti governi che si sono succeduti, è stata contrapposta, come alibi all'inefficienza, un'abnorme produzione normativa. Spesso questa giungla legislativa ha generato anche contraddizioni tra le norme stesse, che favoriscono le "interpretazioni". Alla "certezza" del diritto si sostituisce così la "possibilità" del diritto. Non so se tutto questo possa essere applicato al caso del Politecnico, ma la sentenza emessa è così eclatante che il dubbio è più che legittimo. La globalizzazione non perdona ritardi e carenze culturali e il Governo, qualunque esso sia e il Parlamento, non possono ignorare un tema così importante e delicato. (Fonte: F. Faletti, Il Giorno 15-04-18)