L’UNIVERSITÀ ITALIANA. PREGI E DIFETTI Stampa

Fra i pregi, un alto livello di produttività scientifica, vicino a quello di Paesi con ben maggiori investimenti di settore (pubblici e privati), e un'alta capacità formativa, di cui è prova la prestigiosa collocazione in tutto il mondo degli studiosi formati in Italia. Fra i difetti, una crescente autoreferenzialità e la tendenza al nepotismo di scuola e talora di famiglia. E visto che di competitività si riempiono tutti la bocca, cominciamo da qui. Per essere competitiva, l'università deve rispettare alcune regole generali, le stesse in vigore nei Paesi con cui dovremmo confrontarci. Vediamone alcune. Primo, garantire la stabilità delle strutture, convogliando le migliori energie degli studiosi nella ricerca e nella produzione dell'innovazione. Secondo, rinnovare di continuo sia gli strumenti della ricerca (laboratori e biblioteche) sia il corpo di insegnanti, garantendone la qualità sulla base di una rigorosa considerazione del merito. Terzo, competere con le università dei Paesi comparabili assicurando salari e fondi di ricerca concorrenziali. La struttura delle nostre università è stata sconvolta da una riforma pedante e ottusa, che ha modificato la topografia delle discipline raggruppandole in Dipartimenti di estensione e contenuto sempre diversi, con nomi di fantasia che cambiano da una sede all'altra, per cui a esempio le vecchie, oneste Facoltà di Lettere e Filosofia ora sono dipartimenti di Studi Interculturali in una città, Civiltà e forme del sapere in un'altra, Studi Linguistici e Culturali in una terza. Un balletto di etichette a cui non corrisponde nessun progresso di conoscenza, ma la moltiplicazione di organi, riunioni, regolamenti, adempimenti e impicci che consumano tempo ed energie costringendo chi vorrebbe far ricerca entro la camicia di forza di una miope burocrazia. Le tortuosità del sistema sono giustificate come garanzia di qualità e di trasparenza, ma è arduo dimostrare che quel che a Harvard si può verbalizzare in una pagina a Roma debba richiederne duecento. Il continuo inseguimento di fondi aggiuntivi mediante criteri invariabilmente etichettati come "eccellenza" (una delle parole più inflazionate della lingua italiana) è uno dei meccanismi che risentono di una sorta di aziendalizzazione dell'università, che ne erode la funzione culturale e sociale. Ma anche chi crede di vincere questa difficile battaglia fra poveri, sta in verità perdendo la guerra: perché per conquistare qualche posizione avrà dovuto piegarsi alla cinica burocratizzazione di ideali e istituzioni come la scienza, l'insegnamento e la ricerca, che dovrebbero essere il luogo dove si coltiva e si esercita la piena libertà intellettuale, la formazione di uno spirito critico, la cittadinanza responsabile. (Fonte: S. Settis, FQ 27-02-18)