Due semplici proposte che chiedono più selezione e meritocrazia Stampa

A volte, sembra che le contestazioni siano incentrate solo su un problema di scarsità dei fondi (come se dare più soldi a quest’università, senza cambiare radicalmente il sistema d’incentivi di chi ci lavora, non finirebbe per aggravarne i problemi). Altre volte si sentono tacciare qualsiasi obiettivo di valutazione e selezione tra atenei e dipartimenti come fonte d’ingiustizie e squilibri tra discipline e territori. Anche il tema della “precarizzazione” dei giovani ricercatori rimanda all’idea che si potrebbe risolvere tutto con più soldi e con la stabilizzazione di chi già lavora nell’università (negando che tra i precari alcuni hanno semplicemente sbagliato mestiere).

Contestazioni del genere rischiano di perpetuare un’università che produce bassi standard di qualità e profonde disuguaglianze (tra chi può o non può permettersi di comprare altrove un’istruzione di qualità; tra chi ha o non ha bisogno di un’istruzione di qualità per fare strada, perché tanto dispone di altre risorse familiari o amicali che lo sorreggono). Cosa si può fare (di più)?

1. Ben venga l’introduzione di un sistema di valutazione della qualità del reclutamento dei docenti e della loro attività di ricerca (art. 5, comma 1.c). Ma non si capisce il senso di porre un limite massimo a questo criterio, stabilendo che una “quota non superiore al 10 per cento del fondo di funzionamento ordinario” sarà allocata sulla base della valutazione (art. 5, comma 5). Il massimo dovrebbe essere trasformato in un minimo: almeno il 10 per cento delle risorse (meglio se il 20) dovrebbero rispondere a una seria valutazione della produttività scientifica (ovviamente, introducendo risorse e incentivi che consentano all’Anvur di realizzarla).

2. Ben venga un criterio di accesso alla carriera universitaria che non preveda la figura dei ricercatori a vita, ma stabilisca un percorso verso la stabilizzazione (tenure-track) che passi per una rigorosa valutazione della produttività scientifica (art. 21). Ma se si chiede ai ricercatori di scommettere sulle proprie capacità, lo scambio deve essere equo. Stipendio, strumenti di ricerca e sicurezza del contratto da professore di seconda fascia nel caso si superino i requisiti di produttività al termine del contratto a tempo determinato (stanziando fin dall’inizio i fondi necessari per la conversione) devono essere all’altezza del rischio che si chiede ai giovani di affrontare.

Ecco due semplici proposte che chiedono più selezione e meritocrazia, ma si dovrebbe discutere anche di abolizione del valore legale del titolo di studio, e di liberalizzazione delle rette accompagnata da un piano Marshall di borse di studio per merito e bisogno, senza attardarsi su istanze di conservazione dello stato attuale dell’università italiana. (T. Nannicini, Europa 15-12-2010)