Per risollevare gli atenei non occorrono soldi a pioggia Stampa

L'ultima smentita del mantra "più soldi uguale più qualità" arriva da un rapporto pubblicato da McKinsey, colosso americano della consulenza. L'analisi, basata sugli indici PISA (Programme for International Student Assessment) con i quali l'Ocse valuta l'apprendimento degli studenti, esamina 20 Stati con diversi sistemi scolastici (debole, buono, ottimo, eccellente) accomunati però da un costante miglioramento. L'analisi dimostra, attraverso una correlazione tra valore dell'indice PISA e spesa per studente in migliaia di dollari, che è possibile migliorare il sistema scolastico non tanto con continue iniezioni di liquidità, ma attraverso una serie di riforme mirate. Lo dimostra il fatto che tra il 2000 e il 2007 gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno aumentato i finanziamenti alle scuole superiori rispettivamente del 21 e del 37 per cento, eppure entrambi hanno visto peggiorare la capacità d'apprendimento dei propri alunni. Il nostro Paese spende tra i 7 mila e gli 8 mila dollari per studente, classificandosi, secondo l'indice PISA, come un buon sistema scolastico. A parità di spesa però, lo stato canadese dell'Ontario e l'Olanda ottengono performance migliori, e con la medesima cifra la Finlandia ha raggiunto l'eccellenza mondiale. Discorso analogo si può fare per l'università. Come ha spiegato Andrea Graziosi in un libro pubblicato dal Mulino ("L'università per tutti"), "una laurea italiana costa alle famiglie quasi la metà di quella garantita da Harvard, e più di quella assicurata da altre ottime università americane". Per questo, nonostante Graziosi non critichi la riforma in discussione, "il primo obiettivo dovrebbe essere quello di migliorare l'uso delle risorse già oggi disponibili, tanto di quelle dello stato quanto di quelle delle famiglie". "Spendere di più senza cambiare le regole, anzi gli incentivi, non avrebbe senso", dice al Foglio Roberto Perotti, docente all'Università Bocconi. Qual’è dunque la direzione da prendere? "Non si tratta di aumentare i fondi, ma di imitare il sistema inglese, con `review' triennali e indipendenti sulle spese dei singoli dipartimenti - spiega l'economista - Solo alla luce dei risultati, poi, si assegnano o si tolgono le risorse". Su questo fronte la riforma Gelmini, sostiene Perotti, è troppo timida. (Il Foglio 01-12-2010)