LA CORTE DEI CONTI FA IL BILANCIO A SETTE ANNI DALLA RIFORMA GELMINI. LUCI E OMBRE Stampa

La Riforma Gelmini doveva razionalizzare e rendere più efficiente il sistema universitario. Ma se ciò (in parte) è avvenuto, è stato soprattutto per i tagli dei finanziamenti, più che per una reale riorganizzazione. È quanto sostiene il rapporto della Corte dei Conti, dal titolo «Referto sul sistema universitario», che a sette anni dalla contestata legge 240 tira un bilancio con luci e ombre. La legge ha reso più precaria la vita dei professori, la sua attuazione è incompleta e in ritardo. Il rapporto mette in luce anche conseguenze decisamente positive, come gli sforzi delle università di razionalizzare le partecipazioni in perdita, con le dismissioni; nel corso del 2015 gli atenei hanno raggiunto «una soddisfacente solidità economica». Non solo: la riforma ha anche messo un po' di ordine nel proliferare di sedi e corsi non sempre giustificati: «I Comuni che avevano sedi decentrate dei corsi si sono ridotti a 110, erano 162 nove anni fa». Tutti gli atenei «hanno introdotto il bilancio unico, non sempre accompagnato da una modifica del modello organizzativo diretto a garantire una più efficiente prestazione dei servizi». La riforma voleva incentivare il ricircolo delle menti e l'apertura all'esterno degli atenei «ma tante sono ancora le chiamate relative al personale in servizio nella stessa università che bandisce il posto». Migliora, di poco, l'internazionalizzazione dei corsi. Per quanto riguarda le assunzioni, la Corte dice che la riforma «ha complicato il percorso di carriera, allungando il periodo di servizio non di ruolo, contribuendo ad alzare l'età media di accesso al ruolo dei professori». E il merito? Uno dei problemi è che i criteri premiali «usano una pluralità di indicatori modificati di anno in anno e misurati su performance del passato»: così è quasi impossibile per un ateneo programmare politiche efficaci per migliorare il proprio posizionamento. (Fonte: La Stampa, 23-11-17)