NON RIFORMARE DI NUOVO I CONCORSI MA ASSEGNARE AI DIPARTIMENTI UNA PARTE SOSTANZIALE DEI FONDI SECONDO LA QUALITÀ DELLA RICERCA E DELLA DIDATTICA Stampa

Ogni dieci anni l'università italiana è vittima di un attacco di amnesia collettiva ed entra in fibrillazione per riformare i concorsi, illudendosi che cambi qualcosa. Ci sono sei reazioni tipiche: "Il nucleo dell'università italiana è sano". "Abbiamo fiducia nella magistratura". "Cambiamo i concorsi". "Ci vuole un cambiamento di mentalità". "Ci vogliono regole più stringenti". "La colpa è della scarsità di risorse". Quest'ultima è esattamente la logica perversa di chi sostiene che bisogna inondare di opere pubbliche la Sicilia per sconfiggere la mafia. Ma se la mafia uccide per un appalto da un milione di euro, cosa farà per un appalto da cento milioni di euro? Quasi nessuno vuole sentire parlare dell'unica soluzione possibile: assegnare una parte sostanziale (e non infinitesima come ora) dei fondi secondo la qualità della ricerca e dell'insegnamento di ogni dipartimento, in base a giudizi di esperti internazionali. In questo sistema saranno i colleghi stessi del barone che gli impediranno di tramare per assumere un candidato inadeguato, perché alla lunga ciò si rifletterà sulle risorse disponibili a tutti ì membri di quel dipartimento. È un meccanismo che può benissimo essere applicato anche alle università pubbliche, come mostra l'esempio inglese. Ma è una soluzione che quasi nessuno vuole, perché obbliga, questa sì, a cambiare mentalità e modo di lavorare. (Fonte: R. Perotti, La Repubblica 02-10-17)