Le fondazioni non privatizzano l'università Stampa
Rispondo alle argomentazioni riportate nell'articolo di Eleonora Martini del 14 u.s. sulle proposte da me presentate agli organi di governo di Roma Tre. Le proposte non sono conigli estratti dal cilindro in quanto erano parte del mio programma per il mandato rettorale 2008-2012. Le norme di riferimento non sono quelle che prevedono la trasformazione delle Università in fondazioni, ma quelle che rendono possibile l'istituzione di fondazioni delle Università. La differenza è sostanziale: nel primo caso si tratta di una reale privatizzazione dell'Ateneo, nel secondo di uno strumento al servizio dell'Ateneo. Sono decisamente contrario alla prima ipotesi. Il progetto riprende esperienze positive realizzate da molti atenei italiani. Si può forse sostenere, solo per citare alcuni casi, che sia stata privatizzata l'Università di Bologna, la Politecnica delle Marche, il Politecnico di Milano, lo Iuav di Venezia, l'Università di Pavia, l'Università di Perugia o quella dell'Aquila? Dovunque le fondazioni delle Università hanno dimostrato di non limitare affatto le funzioni istituzionali e le scelte di politica scientifica e gestionale degli Atenei. Esse non hanno leso la concezione di Università come comunità scientifica di docenti e studenti, istituzione pubblica preposta all'alta formazione e alla ricerca. Il richiamo alla bad and good company lo respingo decisamente. La fondazione contribuisce al potenziamento dei rapporti di tutto l'Ateneo con il mondo del lavoro, delle imprese e delle istituzioni pubbliche e private. La garanzia è nel fatto che agli organi di governo dell'Ateneo sono demandati, tra l'altro: la nomina degli organi; la predisposizione delle linee di indirizzo e degli obiettivi; l'approvazione dei programmi annuali e poliennali con l'attribuzione delle risorse necessarie; la definizione dello statuto. Ci vuole fantasia per definire tutto ciò un Ateneo privato parallelo...! (G. Fabiani, Rettore Università Roma Tre, Il Manifesto 17-10-2010)