SULLA NECESSITÀ E SULLA FUNZIONE DELLE RIVISTE SCIENTIFICHE NELL’AMBIENTE DIGITALE Stampa

Le riviste non si occupano per niente della valutazione e raramente dell’editing – lavori, questi, svolti graziosamente e gratuitamente da redattori e revisori di solito stipendiati, se lo sono, dalle università e non dagli editori; le riviste tradizionali non sono vocate a diffondere i testi, ma a prenderli in ostaggio, limitandone la circolazione: quanto nel mondo della stampa era un passaggio tecnologicamente ed economicamente obbligato ora è divenuto un ostacolo che non viene scavalcato solo grazie al feticismo della collocazione editoriale. Come mai questo modello economico aberrante, nel quale chi lavora paga il datore di lavoro per l’onore di esserne sfruttato e trattenuto lontano dal pubblico, continua a sopravvivere? Se gli accademici fossero battitori liberi, smettere di mandare articoli alle riviste o – ancor meglio, smettere di scrivere articoli per comporre piuttosto ipertesti sezionabili, commentabili e linkabili – non apparirebbe eroicamente anticonformista, ma semplicemente razionale. Allo stato, però, a causa di sistemi di valutazione della ricerca fondati sulla lettura delle testate delle riviste in cui gli articoli sono privatizzati, è preferibile pubblicare un articolo stupido e inutile in una rivista che nessuno legge, ma dal nome noto, piuttosto che un testo intelligente e che sarà letto da molti ricercatori, ma in un blog privo di valore simbolico. Le tecnologie digitali – e in particolare il web semantico – consentono di costruire strumenti di indicizzazione e di ricerca che si estendono al di sopra e di là dai singoli siti, aprendo spazi di discussione e comunicazione decentralizzati, nei quali risulta manifesto che fare ricerca – discutere, connettere, rivedere – è molto più che “pubblicare”. (Fonte: M. C. Pievatolo, Roars 15-06-17)