Il ruolo dei nuclei di valutazione delle università Stampa

Istituiti nel lontano 1993, in occasione della Legge Finanziaria per l’anno seguente, e in parallelo (anzi, in connessione) con l’adozione di un nuovo modello di finanziamento del sistema universitario, basato sostanzialmente sull’allocazione complessiva di un fondo indiviso per ciascuna istituzione - al contrario del metodo allora vigente, incentrato sull’attribuzione per capitoli di spesa - i nuclei hanno risentito della conseguente impostazione “economicista” di fondo, imperniata sulla valutazione del “buon uso” delle risorse in regime di più marcata autonomia di bilancio.

La riflessione sul ruolo e sulle metodologie da seguire in materia di valutazione della didattica e della ricerca avrebbe dovuto prendere rapidamente la scena per rafforzarne l’identità su temi più propriamente accademici, sempre al servizio dell’organizzazione e della buona conduzione dell’istituzione. Tuttavia un’altra ambiguità di fondo, destinata ad avere conseguenze rilevanti sul ruolo dei nuclei nell’ecosistema universitario, non sembrava chiarita: si trattava di realizzare una “valutazione interna” o una “valutazione esterna”? Vediamo di capirci di più.

In un sistema universitario in cui si andavano costruendo le condizioni giuridiche per una reale autonomia delle singole Università - e quelle del decennio 1989-1999 sono state tutte riforme che muovevano in quella direzione - si doveva prontamente capire che due erano le tipologie di valutazione che era necessario concepire e implementare: una dell’istituzione nei propri confronti (una auto-valutazione, per così dire), ed una dell’“ambiente esterno”, con la regia ovviamente dell’autorità pubblica, nei confronti dell’istituzione “autonoma”. L’auto-valutazione deve servire all’istituzione per capire come sta funzionando, se si stiano realizzando al meglio le politiche e i programmi decisi dai propri organismi dirigenti, e per dare fiducia “all’esterno” che le proprie attività vengano puntualmente seguite, guidate, ed eventualmente corrette, ricompensate o sanzionate. La valutazione esterna serve alla società tutta per capire se l’istituzione meriti la pubblica fiducia riposta nelle sue prerogative di autonomia, se questa autonomia venga esercitata con responsabilità, e in che modo le attività e i risultati rispondano a requisiti di qualità accademica che fissino la cornice per un comune sistema universitario nazionale, anche eventualmente tenendo conto dei necessari riferimenti Europei e internazionali. Può costituire la base, inoltre, per le decisioni relative al finanziamento pubblico o per forme di accreditamento delle istituzioni e dei corsi di studio. I due tipi di valutazione sono correlati laddove - e questo accade quasi sempre, in tutto il mondo - un certo processo di valutazione interna costituisce la prima fase, il materiale di riflessione, per un processo di valutazione esterna.

Non andiamo oltre in questo breve excursus teorico, necessariamente schematico. Diciamo allora che per tutto questo tempo il ruolo dei nuclei, se analizzato alla luce di tale quadro teorico, è risultato piuttosto incerto, e, sebbene la definizione di legge e le prerogative relative alla nomina dei componenti (di competenza del Rettore e/o del Consiglio di Amministrazione) lo qualifichino come organo di valutazione interno, è invalsa spesso la prassi di nominare anche membri esterni all’istituzione, fra i quali, talvolta, lo stesso Presidente. La progressiva messa in opera di organismi nazionali come il CNVSU e il CIVR avrebbe dovuto risolvere il dubbio identificando quelli come i titolari delle attribuzioni relative alle valutazioni esterne, ma l’ancora immatura architettura di tali procedure, e la sostanziale assenza del CNVSU dal settore delle “visite in situ” e dalla redazione dei relativi rapporti di valutazione - modalità che qualifica nel resto del mondo tale ruolo - ha condotto ad una necessaria “supplenza” dei nuclei per alcuni elementi di questa funzione. Le attività dei nuclei, per di più, sono state mediamente al di sotto delle attese dal punto di vista dello spessore delle valutazioni e del loro impatto. Ridotti, in diversi casi, a raccogliere una messe di dati sulle attività istituzionali - per la qual cosa un ufficio statistico sarebbe bastato - e richiesti di predisporre e somministrare agli studenti i questionari di soddisfazione e valutazione dei corsi, i nuclei non sono riusciti (nella media, ribadiamo) a svolgere né un compito di effettiva valutazione interna né quello di possibile valutazione esterna. Già nel 2003 un esperto come Dino Rizzi rifletteva criticamente sull’esperienza dei nuclei per contribuire a scioglierne l’ambiguità, e a questo testo rimandiamo i più interessati per un approfondimento dei concetti fondamentali.

Certamente in questi ultimi anni i nuclei hanno provato a guadagnare spazio e rilievo istituzionale nell’università, con la consapevolezza di dover costituire un riferimento necessario per numerose decisioni, e attraverso la redazione di rapporti sempre migliori; sarebbe riduttivo non vedere questi sforzi per non voler considerare puntualmente ogni singola sede. E’ anche attivo un coordinamento nazionale da essi costituito (CONVUI).

Ma è qui che s’innesta ora la proposta del ddl Gelmini, il quale viene a prescrivere (Art. 2, comma 1, lettera p) una  composizione del nucleo di valutazione […] con soggetti di elevata qualificazione professionale in prevalenza esterni all’ateneo; il coordinatore può essere individuato tra i professori di ruolo dell’ateneo»

ed inoltre (lettera q) la «attribuzione al nucleo di valutazione della funzione di verifica della qualità e dell’efficacia dell’offerta didattica […], anche sulla base degli indicatori individuati dalle commissioni paritetiche docenti-studenti […], nonché della funzione di verifica dell’attività di ricerca svolta dai dipartimenti e della congruità del curriculum scientifico o professionale dei titolari dei contratti di insegnamento […]».

La relazione di accompagnamento del ddl al Senato spiegava che «in merito all’organo preposto alla valutazione interna dell’ateneo (il nucleo di valutazione) […], sono introdotti principi volti ad assicurarne l’imparzialità ed efficienza: si prevede, infatti, che i componenti siano in prevalenza esterni all’ateneo stesso e che il numero sia integrato da una rappresentanza degli studenti per gli aspetti istruttori relativi alla valutazione della didattica.». Insomma, ancora una congerie di elementi che da una parte intendono assicurare al nucleo l’“imparzialità” (rispetto a chi? qual è il problema?), e dall’altra ne riconfermano formalmente il ruolo di organo di valutazione interna. Ma a questo punto bisogna richiamare pure la normativa istitutiva dell’ANVUR (Decreto-Legge 3 ottobre 2006 , n. 262), fra i cui compiti c’è (Art. 2 comma 138) quello di «[…] b) indirizzo, coordinamento e vigilanza delle attività di valutazione demandate ai nuclei di valutazione interna degli atenei e degli enti di ricerca»: ecco un’altra volta il nucleo servitore di due padroni. Se aggiungiamo che non sappiamo ancora in che modo l’ANVUR, con i limitati mezzi a disposizione, potrà organizzare con propri panel gli attesi cicli di visite in loco per la redazione dei rapporti di valutazione esterna (si consulti a questo riguardo il sito della francese AERES, alla quale il Regolamento dell’ANVUR esplicitamente si ispira), non rimane che concludere come non ci sia ancora piena chiarezza e consapevolezza sui ruoli e sulle responsabilità secondo lo schema teorico che abbiamo sommariamente descritto in precedenza. (Renzino l'Europeo 03-10-2010)