RIVISTE SCIENTIFICHE CHE MILLANTANO STANDARD ACCADEMICI, MA CHE A PAGAMENTO PUBBLICANO QUALSIASI ARTICOLO Stampa

Da qualche anno, accanto alle frodi classiche (fabbricazione, falsificazione e plagio), la credibilità della comunicazione scientifica deve affrontare una nuova minaccia: le riviste che millantano standard accademici, ma che, invece, pubblicano qualsiasi articolo a pagamento. Jeffrey Beall, bibliotecario dell’università del Colorado, le ha battezzate riviste “predatorie” e dal 2010 redige una lista che, non senza problemi e controversie, prova a catalogarle. John Bohannon ne ha testata l’affidabilità in un esperimento i cui risultati sono stati pubblicati su Science: ha inviato un articolo chiaramente artefatto a un centinaio di riviste della lista. Solo il 16 per cento l’ha rifiutato, mentre l’84 per cento l’ha accettato senza alcuna revisione.
Un lavoro mostra che l’Italia non è immune al problema. Incrociando i curricula di 46mila ricercatori che hanno partecipato all’abilitazione scientifica nazionale con le riviste della lista di Beall, sono stati identificati circa 6mila articoli ivi pubblicati nel periodo 2002-2012, lo 0,3 per cento del totale. L’economia e il management sembrano essere i settori dove il problema è più grave. Complessivamente, circa il 5 per cento dei ricercatori del campione ha almeno una pubblicazione predatoria e, a parità di altre condizioni, la percentuale è più alta fra i più giovani e fra chi lavora nelle università meridionali. (Fonte: M. F. Bagues, M. Sylos Labini e N. Zinovyeva, lavoce.info 17-01-17)