Il rettore Pasquino: i ricercatori improduttivi favoriti da sentenze dei TAR Stampa
“Il vero dramma del mondo accademico è che chi lavora viene messo sullo stesso piano di chi non lavora”. È l’opinione di Raimondo Pasquino, rettore dell’università di Salerno e vicepresidente della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane), dopo le accuse lanciate da Luigi Frati sui ricercatori “fannulloni”. Il rettore della Sapienza aveva dichiarato che “il 30 per cento dei ricercatori della facoltà di Giurisprudenza nulla ha prodotto nell'ambito della ricerca scientifica” e in generale, per quel che riguarda l’ateneo romano, “il 10 per cento dei ricercatori non ha prodotto nulla in dieci anni”. Per Frati si tratta di “persone che vanno cacciate dall'università” perché “molti rubano lo stipendio e non fanno nulla”. Secondo Pasquino va innanzitutto chiarito che in questo caso il termine “ricercatore” va riferito “a chi è già entrato nella carriera universitaria con i gradi di associato od ordinario e non al giovane ricercatore ai primi passi”. Il vicepresidente della Crui ricorda al VELINO che negli ultimi anni “le università, alla luce della legge che prevede la produttività dei professori, hanno cominciato a fare delle banche dati,” e sull’ateneo salernitano da lui diretto spiega: “Non ho i dati delle diverse facoltà dei miei docenti. So soltanto che abbiamo introdotto un correttivo: chi non ha prodotto negli ultimi anni, verrà penalizzato sui finanziamenti della ricerca. È chiaro che oggi se il sistema universitario va verso una verifica della qualità e della quantità della ricerca e della didattica, ciascun ateneo dovrà fare i conti con questi dati”. Pasquino osserva che la drastica soluzione avanzata da Frati di mandare a casa i “fannulloni” è “in realtà un rimedio già esistente nel sistema accademico”. Spiega il vicepresidente Crui: “Il giovane ricercatore che entra all’università, nel caso dopo tre anni non abbia prodotto a sufficienza, non viene confermato”. Il problema, aggiunge Pasquino, “nasce perché i Tar lasciano all’interno degli atenei coloro che non sono stati confermati. I tribunali amministrativi, infatti, mandano il ricercatore ‘bocciato’ ad altre amministrazioni. Ma se queste non lo prendono, il ricercatore resta a carico dell’amministrazione da cui proviene”. Con la conseguenza, evidenzia il rettore di Salerno, che “dopo questi tre anni coloro che sono andati fuori binario, restano su un binario morto e sono quasi giustificati a non far più nulla”. Pasquino ricorda che un tempo tutto questo non succedeva perché “se l’assistente nel giro di dieci anni non diventava libero docente veniva ‘licenziato’. Credo che sia questa la categoria a cui si riferisca Frati quando parla di ricercatori che in dieci anni non hanno prodotto nulla”. Per il vicepresidente della Crui, “il problema oggi non è il ‘licenziamento’, bensì fare in modo che lo stato giuridico preveda incentivi per chi lavora e produce, offrendo mezzi finanziari di ricerca adeguati e riconoscendo al ricercatore i passaggi successivi con percorsi programmati e certi”. E sul fatto che i docenti universitari spendano troppo tempo a insegnare e quindi hanno poco tempo per la ricerca, Pasquino dichiara: “Negli ultimi anni molti atenei hanno creato corsi di laurea per richiamare studenti, caricandosi così di crediti e di insegnamenti. A questo vanno aggiunti master e dottorati di ricerca. Abbiamo assistito, insomma, a un proliferare di attività che possono distrarre il docente dalla ricerca. Il professore universitario, invece, non deve mai dimenticare che la sua attività didattica, per non essere statica, deve basarsi proprio sulla ricerca”. (Il Velino ‘7-‘7-2019)