Il lusso di fare carriera universitaria Stampa
Sono un professore universitario "diversamente calmo" per le notizie che continuano ad arrivare sul fronte della riforma universitaria. Infatti, la riforma Gelmini avanza a passi da gigante, con alcuni emendamenti, che però lasciano inalterato un aspetto critico: quello del rendere la carriera universitaria e della ricerca, un lusso che si possono permettere i ricchi di famiglia, i folli, oppure i santi votati al martirio. Solo loro, infatti, possono permettersi (dopo un percorso duro e faticoso di laurea, dottorato, esperienze all'estero, borse di post-doc e assegni di ricerca, fino alle soglie (od oltre) dei 30 anni, di intraprendere una carriera dove l'entry-point è un contratto di 3 anni, rinnovabile una sola volta, senza nessuna garanzia che esista una possibilità di progressione legata esclusivamente alla qualità della loro ricerca. Infatti, potrebbero scoprire che, dopo 6 anni di impegno, non c'è copertura economica per una prosecuzione della carriera, anche se hanno dimostrato la loro qualità in campo internazionale e su scala assoluta. Inutile anche dirti che in certi ambiti l'unica possibilità di fare ricerca è quella accademica, non essendo il tessuto industriale solido (o interessato) per poter investire a medio-lungo termine. Chi, mai, intraprenderebbe una carriera legata non alle proprie capacità, intuito e ingegno ma alle congiunture economiche internazionali, nazionali, e, soprattutto, alle decisioni politiche? Ecco, appunto, un ricco di famiglia, un folle oppure un santo votato al martirio. La mia sensazione è che questa generazione sarà l'ultima ad aver concesso una parte dei suoi talenti al mondo della ricerca, e che, perciò, il declino del sistema Italia sia oramai inarrestabile. Detto ciò, combatterò con le mie forze contro questo declino, ma mi si permetta almeno di essere depresso, sfiduciato, oltre che lievemente arrabbiato (ecco appunto ... "diversamente calmo"). (V. Scarano, Corsera 24-06-2010)