Nessuna retromarcia sulla riforma delle università Stampa
L'articolo sul Corriere della Sera dal titolo «Università, freno nella riforma alla mossa contro i baroni» dà un’immagine capovolta di quanto sta succedendo al disegno di legge del governo per la riforma dell'università. Il testo approvato dalla commissione cultura del Senato dopo un attento lavoro spesso condiviso con l'opposizione non solo non stravolge, ma anzi rafforza nettamente l'impianto riformista del disegno. Molti temevano cedimenti e retromarce: al contrario, dove il testo è cambiato è perché ci si è spinti più avanti sulla strada delle riforme, come aveva auspicato lo stesso ministro Mariastella Gelmini. Proprio i punti sollevati nell'articolo lo dimostrano. I poteri del direttore generale sono stati rafforzati ed è stato chiarito che egli opererà, come accade per qualsiasi dg, sulla base degli indirizzi forniti dal consiglio di amministrazione. Tra i membri esterni del CdA non possono più essere computati i rappresentanti degli studenti, che sono per legge almeno due: quindi almeno cinque consiglieri su undici saranno esterni. Quelli interni, tra l'altro, non saranno scelti su base elettiva, ma dovranno caratterizzarsi per «comprovata competenza gestionale ovvero esperienza professionale di alto livello». Quanto ai mandati dei rettori, sono stati respinte tutte le manovre per consentire, a chi ha già fatto almeno due mandati, di poterne fare altri. Mi sembra pertanto del tutto improprio concludere, come fa il titolo dell'articolo, che il passaggio in commissione ha favorito i «baroni». Il ddl nel suo complesso disegna invero per la prima volta una «governance» capace di rendere competitivo il nostro sistema: si distinguono in modo netto le competenze di cda e senato, attribuendo al cda in via esclusiva l'approvazione del piano triennale di sviluppo, l'apertura o la soppressione di corsi e di sedi, l'ultima parola sull'assunzione del personale. Si riforma radicalmente il reclutamento dei docenti, si introduce un sistema di valutazione degli atenei, si danno gli scatti stipendiali solo a chi abbia raggiunto risultati di qualità, si prevede il commissariamento delle università in dissesto e l'accreditamento di quelle meritevoli, premessa per il superamento del vincolo del valore legale della laurea. Quanto al fondo per il merito degli studenti esso distingue chiaramente tra premi aperti a tutti e buoni di studio parametrati sul reddito, proprio per favorire l'esigenza di promozione sociale che Abravamel giustamente ricorda. Di fronte a queste ed altre importanti innovazioni invocare il modello Harvard, o altri modelli altrettanto lontani dalla storia e dalla realtà del nostro Paese significa solo sbarrare la strada alle riforme concrete e importanti che il ddl rende finalmente possibili e rischia di farci rimanere fermi alle tante «Eboli» del sistema italiano. Che detto in altri termini: «chi troppo vuole rischia di nulla stringere». (G. Valditara, Corsera 24-05-2010)