UNIBO. OCCUPAZIONI-PARTY IN AULE CONTESE DA COLLETTIVI ANTAGONISTI Stampa

L'aula di Lettere al numero 38 di via Zamboni ha attratto come una calamita le irrequietezze dei movimenti studenteschi dal remoto '68 alla rivolta del '77, fino alle occupazioni degli ultimi anni. Di recente però le occupazioni si sono spesso trasformate in party veri e propri, con annessi dj e impianti di amplificazione. Una situazione che sta provocando polemiche e malumori per l'utilizzo improprio delle aule. I fondi poi, vengono utilizzati dai gruppi per le loro attività politiche, comprese, sostiene il presidente della scuola di Lettere e Beni culturali Costantino Marmo, «le spese legali per le denunce, oppure le trasferte a Cremona o in Val Susa per partecipare alle manifestazioni». C'è poi un'altra aula di Lettere, al numero 36 della stessa via, che è occupata in pianta stabile: «E' un soppalco della biblioteca di discipline umanistiche che è diventata la sede dell'ufficio del Cua (Collettivo universitario autonomo, ndr), che qui svolge le sue consulenze e dove si scaricavano anche libri piratati via internet», aggiunge il docente. E mentre a Scienze politiche l'occupazione della mitologica aula C da parte degli anarchici ha polverizzato tutti i record, dato che dura quasi ininterrottamente da un quarto di secolo, a Lettere nelle ultime settimane la situazione si è fatta tesa: dopo che una vetrata è andata in frantumi durante una delle famose feste, è stato convocato un consiglio di dipartimento. «Al consiglio si sono presentati gli esponenti del Cua e hanno interrotto la riunione - spiega il professor Marmo -, al che noi li abbiamo denunciati per interruzione di pubblico servizio». A questo punto si è mosso il senato accademico, annunciando provvedimenti disciplinari a carico dei responsabili. Ma il clima si è appesantito anche fra i diversi gruppi antagonisti, Cua da una parte e Hobo e Labàs dall'altra, che si contendono gli stessi spazi per organizzarvi i party di autofinanziamento e di recente sono pure venuti alle mani, pare proprio per questo motivo. «Non l’intervento della polizia - precisa Marmo - piuttosto servirebbe una squadra di buttafuori di venti persone per risolvere certe situazioni. E' molto avvilente, questi giovani che fanno parte dei collettivi sono contro qualsiasi regola e vogliono fare come pare a loro. E noi, a volte, purtroppo siamo addirittura costretti a ridefinire la nostra attività in funzione loro». (Fonte: F. Giubilei, La Stampa 23-02-2015)