RICERCA. LE ECCELLENZE E LE DIFFICOLTÀ DELLA RICERCA IN ITALIA Stampa

Luigi Nicolais, presidente del CNR, illustra luci e ombre della ricerca scientifica in Italia. Oggi Io stato di salute della ricerca nel nostro Paese, secondo Luigi Nicolais, presidente del CNR, è per così dire "resistente": «Nel senso che, a fronte di alte e qualificate prestazioni confermate dai risultati e dai riconoscimenti internazionali conquistati dai nostri bravi ricercatori, la quotidianità è condizionata da numerosi e sfibranti problemi. Tra i principali, l'esiguità di risorse, un eccessivo precariato, una burocrazia molto articolata e complessa, la frammentazione delle strutture scientifiche e formative, le dimensioni degli apparati produttivi, la bassa propensione al rischio da parte del mondo finanziario, l'assenza di ecosistemi di innovazione. Insomma: fare ricerca in Italia, tra le criticità proprie del sistema, non è facile né agevole, per certi aspetti è addirittura disincentivante. Ecco perché la definirei una ricerca resistente». Parliamo delle eccellenze. Quali sono i settori nella ricerca nel nostro Paese che maggiormente possono competere con l'Europa e il resto del mondo? «La ricerca italiana è eccellente dalla linguistica all'oncologia, dall'Ict alle nanotecnologie, dal diritto alla fisica, solo per citare alcuni settori. Il dato positivo, che si dovrebbe con maggior coraggio assumere a punto di forza, è che non abbiamo particolari ritardi a livello internazionale, come dimostrano i numerosi indici di produttività scientifica, se non nella scarsa utilizzazione dei risultati conseguiti dalla ricerca e nel loro mancato trasferimento al sistema produttivo e dei servizi, anche per la scelta di molte imprese di puntare su altri fattori di competitività: contrazione dei salari, de-localizzazione, mantenimento di infrastrutture e tecnologie datate. Tutto ciò genera un corto circuito, di non facile soluzione, che condiziona la tenuta competitiva dell'intero Paese e innesca pericolosi circoli viziosi dagli effetti devastanti». Ma qual è il problema di fondo e come si scelgono i settori strategici su cui investire? «L'immobilismo in cui la ricerca è costretta viene da lontano ed è il risultato di criticità spesso interne alla stessa comunità scientifica. E necessario un intervento straordinario da parte del governo, ma anche un impegno forte da parte del sistema produttivo, finanziario e scientifico. L'obiettivo da perseguire è quello di attrarre e trattenere il capitale creativo, valorizzarlo, nella prospettiva di rilancio e crescita del Paese. E’ indubbio poi che tra gli investimenti, soprattutto per quelli provenienti dal mondo industriale, vadano date priorità alle nanotecnologie, alle energie rinnovabili, alle biotecnologie, settori che promettono riscontri applicativi e vantaggi competitivi più immediati». Parliamo di giovani. È cambiato negli ultimi anni l'atteggiamento verso la ricerca da parte dei neolaureati? «Per fortuna, molti tra i giovani neolaureati scelgono di proseguire la loro esperienza formativa e di affermazione professionale continuando a restare nel mondo della ricerca. Ma gli abbandoni causati dalla mancanza di opportunità, dall'assenza di risorse, da scelte e comportamenti miopi e sleali rappresentano una perdita enorme per tutta la comunità scientifica. E un torto e un'offesa alla parte migliore del Paese e al suo futuro. Questi abbandoni disincentivano, demotivano, ingrigiscono e ingessano ulteriormente il sistema. Tutto ciò ci impoverisce e ci fa retrocedere. I giovani sono necessari alla ricerca, servono ad assicurare al settore continuità e creatività: senza di loro non è possibile far avanzare le conoscenze, esplorare nuovi campi, il loro entusiasmo, la loro passione sono contagiosi».
(Fonte: Il Giornale Liguria Dossier 25-10-2012)