RICERCA. COME RAZIONALIZZARLA Stampa
Non c'è alcun dubbio che il nostro sistema abbia bisogno di una razionalizzazione. Cominciamo dall'ostacolo più grave a una gestione razionale delle risorse che è la separazione tra ricerca universitaria e ricerca negli enti di ricerca. Questa separazione è stata imposta in Italia da potenti «lobby» politico-sindacali. Per fare un esempio che vale più di mille argomenti, basta ricordare che una legge del 1980 impose a tutti i ricercatori degli enti pubblici di ricerca, che erano titolari di un insegnamento universitario, di «optare» scegliendo tra università e l'ente di ricerca di appartenenza. Fu naturalmente un disastro in termini di gestione delle risorse. Chi optò per l'università pretese, giustamente, che l'università gli offrisse i laboratori e le attrezzature che aveva perso optando per l'insegnamento, chi era invece obbligato a lasciare l'insegnamento determinava una perdita cui l'università doveva far fronte con una nuova assunzione. Le successive «riforme» del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) non hanno fatto che promuovere una sempre maggiore separazione dal mondo universitario. Il più grande istituto di fisica (Infn) ha in tutti i modi tentato al suo interno di resistere a queste imposizioni, giovandosi anche del collegamento con enti internazionali come il Cern. Anche i fisici della materia, dopo aver invano tentato di sopravvivere all'interno del Cnr, nel 1994, cercarono di costituire un loro Istituto nazionale all'interno del quale era possibile minimizzare i danni della separazione tra università ed enti di ricerca. Ma l’Infm durò solo pochi anni. Nel 2003 fu obbligato a confluire nel Cnr e ne vennero espulsi i docenti universitari. Ora per i presidenti degli enti di ricerca si presenta la grande occasione per proporre un cambiamento di rotta, restituendo unità alle comunità scientifiche, che è la premessa per evitare sprechi e duplicazioni. Il primo passo dovrebbe essere una totale unificazione dei ruoli e dello stato giuridico dei docenti universitari con quello dei ricercatori degli enti pubblici di ricerca e una totale mobilità tra i due sistemi.
(Fonte: A. Figà Talamanca, Il Messaggero 19-10-2012)