RECLUTAMENTO AL TEMPO DELLA RIFORMA Stampa

Il meccanismo concorsuale poteva funzionare sostanzialmente bene finché operava per un’università d’elite e ha inevitabilmente cessato di funzionare non appena ha dovuto rispondere alle esigenze, qualitative e quantitative, dell’università di massa. Nel corso dell’ultimo secolo i meccanismi concorsuali sono stati molte volte modificati, con periodicità all’incirca decennale, provando e riprovando, ossia tentando ogni strada e il suo contrario, e più volte tornando al caso precedente, senza che si sia mai configurata, anche soltanto vagamente, una soluzione plausibile all’esigenza di selezionare la docenza universitaria garantendo al tempo stesso la trasparenza delle procedure e la qualità delle scelte. Negli ultimi due decenni la parziale implementazione normativa del principio costituzionale di autonomia, non sostenuta da un’adeguata riforma della governance e non accompagnata dall’attivazione di meccanismi di valutazione ex post, e inserita in un contesto caotico (scarsità di risorse economiche, pesanti riforme degli ordinamenti didattici, stati giuridici della docenza arcaici, inesistenti o demenziali, perenne alternanza di Ministri e di Ministeri) ha prodotto un’ulteriore caduta delle residue barriere etiche e deontologiche che in non pochi casi avevano comunque consentito il mantenimento di standards quasi internazionali nelle concrete pratiche di selezione e cooptazione. Le circostanze politiche ed economiche interne e internazionali hanno fatto il resto, e l’università italiana si è in poco tempo ridotta a una Testa di Turco da esporre al bersaglio e al ludibrio della pubblica opinione, anche grazie a ben orchestrate campagne di stampa. La fine del 2010 ha visto l’approvazione di una riforma chimerica (nel senso dell’omonimo mostro mitologico), capace di combinare alcune importanti acquisizioni del precedente dibattito culturale sull’autonomia con il determinato e intransigente recupero di alcuni capisaldi dello storico centralismo ministeriale, vanificando nella sostanza le prime senza fare i conti con l’ormai largamente dimostrata incapacità del Ministero di gestire processi ormai talmente differenziati e complessi da non poter essere regolati con norme unitarie, neppure se concepite da menti giuridiche geniali. Il Titolo III, relativo al reclutamento, pur partendo da un impianto concettuale abbastanza condivisibile nasconde nelle sue pieghe normative (in cauda venenum) le tracce di quell’ansia centralizzatrice e normalizzatrice che caratterizzano la “cultura di governo” di chi ha voluto quel testo. Sono stati necessari diciotto mesi per emanare tutti i decreti necessari all’effettivo avviamento di un meccanismo di reclutamento di cui già un anno prima dell’approvazione della legge si avvertiva tutta l’urgenza. Quando si potrà davvero reclutare nuovamente saranno passati almeno cinque anni dalle ultime valutazioni comparative, e almeno diecimila dei quasi quarantamila professori a suo tempo in servizio se ne saranno andati in pensione.
(Fonte: P. Rossi, roars 20-07-2012). Nell’articolo (vedi http://www.roars.it/online/?p=10281) si parla anche delle abilitazioni scientifiche.