BOOM DEL TEMPO PIENO. DOCENTI A TEMPO DEFINITO RIDOTTI IN MEDIA DEL 36% DAL 1994 A OGGI. TORNANDO AL 1994 RISPARMIO FINO A 442 MILIONI L’ANNO Stampa

La legge, anche prima dell'ultima riforma votata a fine 2010, prevedeva una serie di incompatibilità, e disciplinava i casi in cui non era possibile occupare tout court una cattedra, o avere una posizione a tempo pieno. La legge Gelmini ha cambiato il quadro, introducendo un principio semplice (scritto all'articolo 6 della legge 240/2010): la posizione di professore o ricercatore è incompatibile con l'esercizio del commercio o dell'industria, e chi svolge attività libero-professionale può essere inserito nei ruoli universitari solo a tempo definito. Risultati? A giudicare dai numeri, per ora nessuno.
Negli anni, l'università ha, infatti, assistito a una progressiva rarefazione dei docenti a tempo definito, con una flessione media dal 1994 a oggi del 36% (erano l'8,2% del totale 18 anni fa, sono il 5,3% oggi), con punte del 66% fra i ricercatori (che per i primi tre anni sono obbligati al tempo pieno). Escluso un crollo nelle attività professionali dei docenti, il punto sono i controlli, particolarmente sensibili visto il peso economico della scelta: un ordinario a tempo pieno costa, infatti, in media all'Università 129.400 euro all'anno, contro gli 80.120 di un collega a tempo definito. L'esplosione del tempo pieno, naturalmente, varia da ateneo ad ateneo, e da facoltà a facoltà: in assenza di dati pubblici, però, questo fenomeno è impossibile da verificare. I valori in gioco nascono dal fatto che il docente che sceglie il tempo definito perde una fetta importante di retribuzione, e senza controlli (e senza dati pubblici e trasparenti sul tema) gli abusi sono dietro l'angolo. Abusi che, proprio qui sta il punto, costano parecchio al sistema universitario: ogni punto percentuale di professori a tempo definito fa risparmiare all'università 163 milioni l'anno, per cui tornando ai livelli del 1994 si drenerebbero risorse per 443 milioni l'anno. Per questa ragione, una serie di correttivi depositati al Senato puntano a un nuovo rafforzamento del regime delle incompatibilità e dei controlli, per recuperare risorse senza colpire l'assegno statale erogato ogni anno agli atenei pubblici. La partita non è da poco, perché i 442 milioni annui che si possono ipotizzare come obiettivo massimo di risparmio valgono circa il 6,5% del fondo statale che ogni anno arriva agli atenei.
(Fonte: G. Trovati, IlSole24Ore 21-07-2012)