INVESTIRE IN CONOSCENZA - PER LA CRESCITA ECONOMICA Stampa

Autore: Ignazio Visco. Collana “Contemporanea”, Il Mulino, Bologna 2009, pp. 144.
Per far ripartire l’economia, sostiene Ignazio Visco – attuale governatore della Banca d’Italia –, occorre «soprattutto prendere atto dei grandi fenomeni evolutivi che ci hanno trovato relativamente impreparati: la globalizzazione degli scambi di merci e servizi, la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni, l’aumento progressivo della vita media e i nuovi flussi migratori dei paesi in via di sviluppo».
Per far fronte a questi cambiamenti si deve «investire in istruzione, capitale umano, conoscenza, che costituisce oggi un fattore essenziale di crescita della produttività e dell’economia», anche se l’Italia figura agli ultimi posti per gli investimenti in ricerca e sviluppo. «Sono necessari maggiori investimenti pubblici e privati; per incentivarli occorre rimuovere i fattori che ne frenano il rendimento, puntando sulla qualità, sulla valutazione e sul riconoscimento del merito».
Visco fa alcune proposte che potrebbero migliorare la qualità dell’insegnamento e della ricerca nelle università. «Anzitutto, per correggere la regressività e le altre distorsioni del sistema andrebbe accresciuta la correlazione tra tasse e costi dell’istruzione universitari. I livelli più elevati delle tasse scolastiche (corrispondenti al costo di “investire” in capitale umano) dovrebbero essere accompagnati da un ampio numero di borse di studio per i più meritevoli e per i meno abbienti e dalla possibile abolizione del valore legale del titolo di studio». Inoltre, «anche a livello universitario, si dovrebbe disporre di valutazioni comparate tra i diversi atenei, sia riguardo ai rendimenti didattici, sia all’impatto della ricerca che vi viene prodotta, ricorrendo, ad esempio, ai risultati di valutazioni periodiche condotte dal Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca. Sulla base della qualità relativa e di un’analisi trasparente dei costi offerti e dei successi nella formazione degli studenti, si potrebbe quindi procedere a differenziare i finanziamenti pubblici alle diverse università. Si potrebbe stimolare la concorrenza tra gli atenei, dando loro ancora maggiore autonomia non solo nella selezione e nell’assunzione, ma anche nella remunerazione dei docenti».
Per i dottorati di ricerca sono «fondamentali l’apertura e/o collegamenti con il resto del mondo; andrebbe ridotta l’autoreferenzialità e ampliata la varietà dei docenti, definendo criteri di selezione basati su stretti e oggettivi riferimenti di merito; bisognerebbe mirare ad avere una massa critica di docenti e studenti, così da garantire un’attività di ricerca alla frontiera delle conoscenze, l’offerta di una ricca struttura di corsi, workshop e seminari, una capacità di attrarre talenti anche oltre il livello nazionale».
Per raggiungere questi obiettivi, è necessario «concentrare le risorse in un numero necessariamente limitato di atenei in grado di costruire scuole di dottorato competitive, riconosciute e con solidi collegamenti internazionali; da queste scuole devono infine poter uscire, in direzione dell’accademia, così come di centri di ricerca pubblici e privati, ricercatori capaci di far avanzare la conoscenza con ricerche di base di qualità e di confrontarsi anche sul piano della ricerca applicata con la realtà dell’industria, della tecnologia e dell’economia in generale».
(Fonte: L. Cappelletti)