ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE. IL PROBLEMA IRRISOLTO DELLA PREVISTA ONDATA DI ABILITATI Stampa

Nel testo della legge Gelmini si ripete più volte che le disposizioni ivi contenute non devono comportare un aumento di spesa. Ma questa invocazione nasconde la realtà. La legge contiene due disposizioni che assieme obbligheranno le università a spendere tutti i fondi provenienti dai pensionamenti per la promozione di decine di migliaia di ricercatori universitari a professore associato. La prima disposizione è la soppressione del ruolo iniziale di docente, quello appunto dei cosiddetti «ricercatori», la seconda è la previsione di una «abilitazione nazionale» ai ruoli di docente. È ovvio che i ricercatori appartenenti a un ruolo ormai soppresso si affolleranno a partecipare alle abilitazioni. Almeno 15.000 dei 25.000 ricercatori in servizio risulteranno più attivi nella ricerca della maggioranza degli attuali professori associati e forse anche degli attuali professori ordinari. A loro non potrà essere negata l'abilitazione a svolgere un ruolo di docente che già svolgono. Né sarà facile per le università negare la promozione a professore associato a chi, come ricercatore, è già nei ruoli di docente ed è stato «abilitato» da una commissione nazionale.
Tutti i fondi disponibili, per diversi anni, saranno quindi spesi per promuovere i ricercatori a professore associato, bloccando le nuove assunzioni e convogliando le risorse nelle sedi e nelle aree dove più numerosi sono i ricercatori. Il governo, evidentemente, è alla ricerca di una soluzione di questo problema e il testo «apocrifo» circolato alla fine di maggio prevedeva di risolverlo abolendo la abilitazione nazionale prevista dalla legge Gelmini. Questo testo è stato ritirato, ma il problema non è risolto.
(Fonte: A. Figà Talamanca, Il Messaggero 20-06-2012)