LA DIDATTICA NEI RANKING Stampa

A oggi non esistono metodi efficaci per misurare la capacità dei professori di sfornare studenti competenti. Non è una lotta di retroguardia contro la meritocrazia. È un dato di fatto. Sono gli stessi parametri usati dal THE (Times Higher Education) nel World University Rankings a dimostrarlo. Il 15% della valutazione degli atenei – la metà del giudizio sulla didattica – dipende dall'Academic Reputation Survey. In pratica, un grande sondaggio di opinione tra docenti realizzato dalla Thompson/Reuters. Il resto dei parametri c'entrano molto con i soldi e poco con lo studio. A determinare il punteggio finale concorre (per il 2,25%) il rapporto tra professori e budget dell'ateneo, che dovrebbe dare un'idea del denaro a disposizione per infrastrutture e servizi amministrativi. Poi, ci sono due indicatori che di fatto misurano la quantità di dottorandi. Cose che si possono ottenere in un modo solo: pagando. E comunque hanno un impatto sulla didattica molto indiretto. L'ipotesi di chi stila la classifica è che in un ambiente confortevole, con tanti giovani dall'intelletto brillante, gli studenti siano più stimolati. Ha senso, ma ci si aspetterebbero elementi di giudizio più concreti. Meno fumosa è la scelta di misurare il rapporto tra il numero di professori e quello degli studenti. Anche in questo caso, guadagnare punti è una questione di soldi. E poi, non è un segreto che il sistema scolastico italiano sia basato su una scarsa frequenza alle lezioni ed esami preparati a casa o in biblioteca. Il numero di docenti, a queste condizioni, è meno importante che in altri Paesi.
Non c'è nulla nel Times Higher Education Ranking che possa aiutare a capire se sia meglio il modello anglosassone - che punta sulla partecipazione, su laboratori, progetti, test a risposta multipla (cioè a crocette), ed esami scritti spesso abbastanza brevi -, oppure quello italiano, che per molte facoltà ruota ancora intorno a lunghi esami orali e migliaia di pagine da capire e memorizzare. Un sistema forse vecchio. Ma se gli atenei stranieri sono invasi dai nostri cervelli in fuga, qualcosa di buono deve averlo. Il THE, purtroppo, non aiuta a sciogliere il dubbio.
(Fonte: P. Frediani, linkiesta.it 08-06-2012)