L’OCCUPABILITÀ DEI LAUREATI IN EUROPA Stampa

Nell'ambito di un'università europea che da oltre un decennio sta cercando di ristabilirsi all'interno di un mondo globalizzato, nel quale il sistema educativo dell'economia della cultura sembrava si stesse indebolendo rispetto a Stati uniti e Giappone, l'occupabilità dei diplomati è diventato uno degli elementi centrali del dibattito. Ancor più in tempi di crisi e con le università che negli ultimi decenni sono passate dall'elitismo a quella che è stata definita l'università di massa: nel 1980 erano presenti 50 milioni di studenti universitari nel mondo; nel 1995 sono saliti a 82 milioni e nel 2009 a 170 secondo l'Unesco.
La mappa dell'occupazione in Europa dipende dal Paese e dal corso considerati (c'è meno disoccupazione nel settore dell'ingegneria o della salute rispetto a quello delle scienze sociali). «Ma quello che abbiamo osservato sono le differenze tradizionali, con migliori prospettive lavorative nel Nord Europa e peggiori nei Paesi mediterranei, specialmente in Spagna» riassume l'esperto dell’Università di Maastricht, Rolf van der Velden. Si possono tracciare linee abbastanza nette tra i Paesi, considerando le cifre di disoccupazione dei laureati tra i 25 e i 29 anni (dal 2,8% della Germania e dal 5,2% del Regno Unito fino al 20,2% della Spagna o al 16% dell'Italia, passando per il 9,3% della Polonia). Il problema non è solo dell'università, ma anche del mercato del lavoro: «Bisogna essere in due per ballare il tango», aggiunge Van der Velden. La preoccupazione è comune in tutta Europa, poiché in molti dei Paesi in cui i laureati trovano lavoro più facilmente, ci si scontra con il problema dell'overqualification (il lavoro richiede un livello d’istruzione inferiore rispetto a quello posseduto dal laureato): in Francia, Germania o Regno Unito la cifra è superiore al 20%, in Spagna, con una percentuale del 33%, il dato va a sommarsi a quello della disoccupazione giovanile. La dicotomia in genere è: più specializzazione o più capacità trasversali? Con un numero crescente di laureati, sostiene Van der Velden, «gli studenti cercano altre forme per distinguersi» attraverso master, corsi post-laurea (a volte elitari e cari), esperienza internazionale... qualcosa che possa, in definitiva, fare la differenza quando si trova un posto nel mercato lavorativo.
(Fonte: La Stampa 31-05-2012)