PRESTITI UNIVERSITARI. ESITI MODESTI DEI PROVVEDIMENTI ADOTTATI Stampa

I prestiti d’onore sono stati disciplinati per la prima volta in Italia una ventina di anni fa dall’art. 16 della legge quadro sul diritto allo studio universitario, la legge n. 390/91. Si trattava di una norma per certi versi all’avanguardia perché stabiliva delle condizioni piuttosto garantiste per lo studente, non molto dissimili da quelle attualmente in vigore nel sistema di sostegno tedesco: il prestito, a tasso zero, poteva essere concesso solo agli aventi diritto alla borsa di studio; la restituzione, rateale, doveva avvenire non prima dell’inizio di un’attività lavorativa; la rata del rimborso non poteva superare il 20% del reddito del beneficiario. Ma prevedere per legge un intervento non implica automaticamente che sia realizzato, e questo è solo uno dei molti esempi che ci fornisce la normativa italiana a riprova. Le ragioni del mancato avvio dei prestiti potrebbero essere imputate ad un inghippo formale, al fatto che il decreto ministeriale che doveva fissare i criteri di concessione delle garanzie e di corresponsione degli interessi non fu mai emanato; oppure alla formulazione dell’articolo troppo “rigida nella definizione delle caratteristiche e delle modalità di intervento che, di fatto, rendono tale strumento [il prestito] inapplicabile”, come scrisse il CNVSU (Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario). Più verosimilmente le cause sono di ordine culturale, la tradizionale elevata avversione al debito nel nostro Paese, cosicché neanche l’istituzione di un apposito Fondo per la concessione dei prestiti d’onore finalizzato a integrare le risorse finanziarie delle Regioni, cui era in capo la gestione, riuscì ad avere un effetto propulsore. Una decina di anni dopo, agli inizi del 2000, i comportamenti finanziari delle famiglie italiane sono cambiati, l’avversione all’indebitamento – sebbene sempre forte in comparazione ad altri paesi – si attenua. In questo mutato contesto culturale si inseriscono due contigui provvedimenti: a)il Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti da ripartire “tra le università per il finanziamento di progetti sperimentali e innovativi proposti dalle Regioni [...] per la concessione agli studenti di prestiti d’onore” (DM 23 ottobre 2003, art. 7); b) un Fondo una tantum di 10 milioni di euro, ripartito tra tutte le Regioni, per la costituzione di garanzie sul rimborso dei prestiti fiduciari agli studenti e per la eventuale corresponsione di contributi in conto interessi ai capaci e meritevoli privi di mezzi (legge finanziaria 2004, art. 4, co. 99, 100 e 102).
Quali sono stati gli esiti? In entrambi i casi assai modesti. Nel complesso gli studenti che hanno acceso un prestito d’onore o un prestito fiduciario non raggiungono lo 0,1% del totale della popolazione studentesca, con una lieve maggiore “riuscita” dei primi rispetto ai secondi, come si evince comparando le tabelle 1 e 2, ad un minor costo: il finanziamento statale per i prestiti d’onore nel periodo 2003-2011 è stato di 4,1 milioni di euro contro i 10 milioni di euro stanziati per i prestiti fiduciari.
Nel 2008, il Ministero delle Politiche giovanili – in collaborazione con il Ministero per le Riforme e le Innovazioni nelle PA e il MIUR – realizza a livello nazionale un ulteriore progetto denominato “Diamogli credito”. E’ istituito un Fondo pari a 33 milioni di euro, di durata triennale, a garanzia delle somme prestate agli studenti dagli istituti di credito aderenti all’iniziativa. In cosa differiscono questi prestiti dagli allora vigenti prestiti d’onore e fiduciari? Sono ammissibili al finanziamento solo precise spese per determinati importi massimi: 1.000 euro per acquistare un computer portatile; 6.000 euro per partecipare al programma Erasmus; 2.000 euro per pagare le tasse universitarie; 6.000 euro per iscriversi a un corso post-laurea; 3.000 euro per far fronte agli oneri di locazione (deposito cauzionale o costi di intermediazione) per gli studenti fuori sede.
In cosa sono analoghi? Nei risultati: 1.560 prestiti concessi in totale negli anni 2008-2010. Il modestissimo esito dell’iniziativa può trovare spiegazione ancora una volta nelle condizioni applicate, non solo e non tanto nel requisito di merito richiesto per l’accesso – che comunque escludeva una fetta di popolazione studentesca dall’intervento – quanto piuttosto ne: il tasso d’interesse di poco inferiore al 6%; l’inesistenza di un periodo di grazia, per cui la restituzione doveva avvenire subito dopo l’ultima rata di finanziamento; la procedura assolutamente tortuosa per accedervi (come si legge nel protocollo d’intesa stipulato tra i Ministeri e l’ABI nel 2007). Questi fattori hanno probabilmente dissuaso gli studenti potenzialmente bisognosi dall’aderire al progetto, inducendoli a rivolgersi ad altre fonti: parenti, amici, lavoro, e perché no, a istituti di credito non convenzionati.
Nel 2010 il progetto DiamogliCredito si trasforma in Diamogli Futuro: il Fondo per il credito ai giovani è lo stesso, seppure con una rimanente minore dotazione finanziaria, pari a 19 milioni di euro, ma cambia la “destinazione d’uso”: serve a garantire il finanziamento degli studi a studenti meritevoli, iscritti a corsi di laurea o post-laurea, per un ammontare massimo di 5.000 euro l’anno. Lo studente può cumulare fino a 25.000 euro di debito da restituire dopo due anni e mezzo dall’ultima rata di finanziamento, al tasso d’interesse applicato dall’istituto di credito convenzionato, e all’uopo fu stipulato un nuovo protocollo d’intesa tra il ri-nominato Ministero della Gioventù e l’ABI. S’ignora quanti prestiti siano stati accordati tramite questo progetto, che, di fatto, ha preso avvio dall’a.a. 2011/12, ma s’immagina che sia ben lontano dai 19.000 beneficiari previsto dall’allora ministro Meloni.
(Fonte: F. Laudisa, roars 04-06-2012)