TRE PRIORITÀ PER L’UNIVERSITÀ Stampa

Sempre meno giovani italiani s’iscrivono all'università (-10% nell'ultimo anno). Le ragioni sono varie: un orientamento inefficiente, l'idea— sbagliata! — che studiare sia inutile. Ma soprattutto queste scelte segnano un'intollerabile de-crescita culturale e sociale, per cui l'alta formazione tende a trasmettersi nuovamente per censo. Pochissimi ottengono borse di studio: il 7% degli studenti, con 258 milioni di euro di fondi pubblici, contro il 25,6% della Francia (1,6 miliardi), il 30% della Germania (2 miliardi) e il 18% della Spagna (943 milioni). In 5 anni il nostro dato è calato dell'11,2%, mentre aumenta negli altri paesi (Francia +25,9%, Germania +18,6%, Spagna + 39%).
L'università italiana è bloccata da procedure macchinose e interminabili, che non ci consegnano un sistema più efficiente, ma più asfittico e di minor qualità, oltre a una generazione perduta di ricercatori. Così, stiamo già scivolando fuori dal modello sociale europeo: un'Italia rassegnata all'inutilità della formazione vive il declino come destino. Nel Programma nazionale di riforma 2012, il governo ha mostrato attenzione a questi temi, marcando essenziali discontinuità, sostenendo il valore sociale dell'istruzione e il rafforzamento del diritto allo studio. Non basta: ora occorre passare dalle parole ai fatti. Servono misure strategiche e interventi urgenti, che a nostro avviso devono essere mirati su tre priorità.
Primo, un programma nazionale per il merito e il diritto allo studio, che affianchi gli interventi regionali, finanziato con 500 milioni (250 di risorse già destinate all'università e 250 da prestiti d'onore) e potenziato nel Mezzogiorno dall'utilizzo delle risorse europee per sostenere percorsi Erasmus e "Master and back". L'università torni a essere la culla, e non la tomba della mobilità sociale, garantendo davvero il diritto costituzionale a completare gli studi per i capaci e meritevoli "ancorché privi di mezzi".
Secondo, la circolazione dei talenti e l'apertura internazionale. Nel venticinquesimo compleanno dell'Erasmus, l'Italia ha poco da festeggiare, perché il programma coinvolge solo l'1% dei nostri studenti, metà della media europea, al Nord il doppio che al Sud. Puntiamo a far sì che in 5 anni si passi da 20mila a 100mila studenti Erasmus l’anno, intervenendo con sgravi fiscali per le famiglie, sul riconoscimento dei crediti, sugli scambi di ospitalità. Erasmus significa anche accoglienza degli studenti stranieri, e richiama l'apertura e la trasparenza del sistema: insegnamento in inglese e dell'inglese, equipollenza per il riconoscimento dei titoli accademici, "cattedre parziali" per gli studiosi che insegnano nelle università straniere.
Terzo, l'accesso ai ruoli universitari. Anche qui, tutto è fermo, dalle procedure di abilitazione al piano per gli associati, ai contratti in tenure track: si deve invertire la marcia e investire sui giovani, con il contratto unico di ricerca (con diritti certi e compensi adeguati) per tutte le attività post-doc e una figura più "forte" di professore junior in percorso di ruolo. A poco più di 30 anni deve essere possibile fare di un talento — la ricerca e l'insegnamento — l'impegno della propria vita.
(Fonte: M. Meloni, M.C. Carrozza, L’Unità 22-5-2012)